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E se Milano: la politica e una scatola da riempire con i sogni raccolti in giro per la città

In bici a Milano
La libertà non è star sopra un albero

Nelle scorse settimane mi è balenato per la testa di iniziare seriamente a fare politica. La scoperta e la riscoperta della città, tanto tempo comunque dedicato a cercare di renderla migliore, l’impegno per le cose che mi sembrano giuste, importanti e urgenti. Che poi, in realtà, niente di davvero eccezionale: siamo in molti a fare politica, anche se la chiamiamo in un altro modo.

Quindi si tratterebbe solo di dare una forma più precisa a questo impegno, di metterlo davvero al servizio della città, di farlo crescere e di confrontarlo con la realtà e con i problemi.

Dedicarsi alla città che vogliamo costruire, cercando di volare alto, di dare una forma e un’opportunità ai sogni.

Ragiono a voce alta e mi dico: ok, ti piacerebbe. Ma anche: l’obiettivo è chiaro, qual è il percorso? Escludendo quello che passa dall’attività dentro un partito – soprattutto perché non esiste un partito dove mi sentirei totalmente a mio agio – restano sostanzialmente due strade: candidarsi per una qualche carica elettiva (Consiglio comunale e dintorni) oppure dare più sostanza all’impegno volontario (massa marmocchi e dintorni). La seconda strada è già bella tracciata: ci sono milioni di cose da fare, bisogna solo decidere come e quando. La prima è piena di incognite: la difficoltà di arrivarci (alcune migliaia di voti, ce la si può fare?), la possibilità – dopo che ci si è arrivati – di incidere veramente. È vero che andare a rappresentare delle persone che hanno fiducia in te è una cosa bellissima, però se poi non produce risultati, e risultati importanti, diventa un percorso dannoso anche se le intenzioni erano ottime.

Insomma: non lo so che cosa sia giusto fare.

In questo momento penso che mi piacerebbe prendere un risciò (non ce la faccio a scrivere rickshaw), qualche giorno di ferie e andare in giro per la città portandomi dietro una scatola e dei fogliettini. E fermare la gente per strada chiedendo a ognuno di scrivere un suo sogno – per la città e per la sua vita in città, e di metterlo dentro la scatola.

Io ho già scritto i miei, sono tre foglietti pieni zeppi di appunti. Eccoli:

Giovani e giovanissimi

Una città capace di attirare ragazze e ragazzi da tutto il mondo, che vengano a studiare nelle nostre università e a progettare prototipi nei nostri coworking e a provare a realizzarli nelle nostre startup.

Ragazze e ragazzi che facciano crescere la città e che siano destinatari degli investimenti su: scuola, università, ricerca, innovazione, mobilità, startup.

Ragazze e ragazzi che quando entrano nel mondo del lavoro fluido, che quando diventano donne e uomini da partita Iva, siano al centro delle nostre attenzioni.

Ragazze e ragazzi che riempiano la città di occasioni di divertimento, le strade di chiacchiere e musica.

Ragazze e ragazzi ai quali chiedere un po’ del loro tempo: per fare volontariato, per prendersi cura di un’aiuola, per fare la spesa per una persona sola. Una città costruita per i giovani, che cresca con il loro entusiasmo e la loro disponibilità a ricambiare queste attenzioni.
Ragazze e ragazzi che non abbiano paura di avere dei figli ed essere dei giovani genitori liberi e ribelli: perché noi stiamo costruendo una città a misura di bambini.

E le persone anziane? Provate a chiederlo a loro se preferiscono vivere in una città di vecchi o di giovani.

Accessibilità

La parola magica di ogni sogno.

Accessibilità alle case, al lavoro, agli spazi: che vuol dire nuovi ambiti di condivisione abitativa e lavorativa – e abitativa e lavorativa insieme; che vuol dire tanto lavoro in tutte le forme possibili.

Alle strade, ai quartieri: che vuol dire meno, molte meno automobili nelle strade; che vuol dire tutta la città subito a 30 km/h, quartieri residenziali car free; che vuol dire aprire i portoni delle nostre case e collegare un cortile all’altro con le nostre idee e prendere il meglio delle social street e farlo diventare uno standard, un modo quotidiano di vivere gli spazi.

Agli orari: che vuol dire una città aperta 24 ore su 24 e dove i tempi del lavoro (e dello studio) siano veramente agili. Una città che non si muove verso la scuola e poi il lavoro tutta alla stessa ora.

Ai dati, alle informazioni: che vuole dire open data open data open data.

Allo studio, quello tradizionale e quello nuovo, che forse si chiama curiosità.

Bellezza

La moda – che magari la chiamiamo stile, più aperta e inclusiva (accessibile, di nuovo) e il design, che diventi protagonista anche del quotidiano: può esistere un assessorato al bello?

La cucina, l’arte, la musica e la conoscenza – in ogni quartiere.

I quartieri, tutti i quartieri, per sfogliare la storia della città, costruita e smontata mille volte e per questo piena di livelli e mondi da scoprire.


Ecco: giovani e bambini, accessibilità, bellezza. Queste sono le parole del mio libro dei sogni per Milano. Una città dove aumenta la velocità delle reti sulle quali circolano le idee e diminuisce la velocità delle automobili.