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Il 2017: un anno in salita, e non è ancora finita

Ci sono gli anni bisestili e quelli che passano via in un lampo. Quelli con Saturno contro e quelli quando cambia qualcosa. Ci sono anni di traslochi e di promesse. Di una bicicletta nuova e di altre elezioni. E poi c’è il 2017: questo è stato un pezzo del mio.

È stato un anno strano, per me. Di quelli che alla domanda di circostanza come stai? avresti quasi sempre voglia di rispondere abbastanza male ma poi non lo fai. Perché in fondo non lo sai nemmeno tu perché. Non lo sai perché non ti senti mai davvero bene, e più cerchi di capirlo più non ti senti proprio bene.

Io sono sempre stato una persona inquieta. Un senso di perenne ricerca di qualcosa che nei momenti positivi è curiosità, progetti, propensione al cambiamento, in quelli negativi è una via di mezzo tra l’ansia e la depressione, un’irrequietudine (o irrequietezza? chissà, comunque, ecco nel 2017 se esistono le ho passate entrambe): ecco, mi sento così, con poca curiosità e molta ansia, e non lo so come mai. E cercando appunto il perché ho capito che cosa mi faceva stare meglio e che per tante ore mi ha regalato una pausa di tranquillità tra un momento e l’altro: andare in bici in montagna.

Lo so che l’ho già detto, e lo so che lo si era già capito, ma nel 2017 non sono stati solo la bici e la montagna. Nel 2017 mi hanno fatto stare bene le giornate che iniziavano staccando i dati dal cellulare, preparando una borsa dove a mano a mano ho imparato a mettere solo le cose davvero indispensabili, prendendo un treno, respirando all’improvviso un’altra aria e un’altra storia, iniziando a pedalare con la sorpresa di vedere un pezzo di mondo nuovo, con Quell’Altro là davanti a tenermi attaccato a quello del mio mondo che mi piace. Nel 2017 è stata l’idea che poi in cima c’è sempre un rifugio, godersi il piacere leggero di una fatica intensa, c’è una fetta di torta e prepararsi poi per la notte che è quasi sempre fresca.

Nel 2017 ho fatto tante salite nuove per me, che bisogna sempre esplorare e cercare di andare più in alto e più lontano, tante che se le elenco mi sembrano ancora di più: la Conca di Crezzo, il Colle Zambla, il Passo Selvino, il Monte Penice, Pian dei Resinelli, il Cornizzolo, il passo del Bernina da Tirano, il Monte Lesima, il Balcone d’Italia, il Passo Agueglio, il Passo San Marco e poi Giau, Falzarego, Tre Cime di Lavaredo, Tre Croci, Valparola, Gardena, Sella, Pordoi, Campolongo, San Bernardino, Torri di Fraele, Gottardo, Furka, Novena, Julier, Albula, Crocedomini.

Quell’Altro là davanti a tenermi attaccato a quello del mio mondo che mi piace.

Nel 2017 ho pedalato tante volte sull’amatissimo Stelvio, ho toccato con mano la meraviglia del Nivolet, mi sono coccolato con i tornanti dello Spluga e del Maloja, e alla fine ho messo il bollino anche sul Mortirolo, ma questo – devo dirlo – quasi più per dovere che per piacere. E sono anche stato tante volte a Morterone, il paese più piccolo d’Italia in cima a una delle mie salite preferite: aspra, isolata, silenziosa.

E poi sono tornato da mille altre parti che conoscevo già e in tutto questo pedalare ho capito tanto di me, di quello che mi piace fare in bici e di come mi piace farlo, ho guardato e respirato tanto mondo là fuori e là in cima. Ho anche capito che forse quest’anno ho esagerato, che dovrò dosare meglio le forze e le energie, ascoltare di più i messaggi del mio corpo. Ma nel 2017 l’urgenza era un’altra e quindi bene così.

Colle del Nivolet: la grande meraviglia.

Il 2017 è stato un anno complicato per me che quell’andare in bici in montagna ha reso più sopportabile; poi viene sempre il momento nel quale devi riattaccare i dati e le notifiche e poco tempo o voglia di scrivere, troppo tempo buttato a leggere, velocemente e male, cose inutili. No, non è che sto dando la colpa all’internet per questo 2017 di malessere, figuriamoci, però so che devo imparare a gestire questa nuova internet, così tanto diversa da quella con la quale sono cresciuto. Perché prima mi portava dentro le cose, soprattutto dentro quelle nuove, era conoscenza e approfondimento, adesso rischia di tenermi sulla superficie di tutto, senza mai entrare nel merito di nulla.

E quel malessere strano me lo sono portato anche in vacanza quest’estate. Un viaggio in quella parte di mondo – il Perù, la Bolivia, il Cile – che immaginavamo e preparavamo da tanto, sembrava il coronamento ideale di una primavera passata su e giù dalle Alpi. Di fronte al Bernina, che mi piace tanto, o al Nivolet, che mi ha tolto il fiato, ho pensato che presto avrei avuto davanti un mondo che moltiplicava per 10, per 100 quella bellezza lì. Che la chiamo così, bellezza, perché quei posti nemmeno la più incredibile delle fotografie te li può raccontare, figuriamoci le parole.

E invece ho rovinato tutto.

Perché là in Sud America quell’irrequietudine si è mescolata con quel martello nella testa, e io non sono stato capace di uscirne. In quelle notti a 4.000 metri non ho avuto la forza di reagire, e avevo solo voglia di scendere. Ma sì, è il mal di montagna. È una cosa che capita come l’influenza o il morbillo, non è che ci si può fare molto. Però io sono sicuro che in un altro momento l’avrei gestito, se non fosse stato il 2017 mi sarei fatto più forza e ci sarei passato sopra. Così in questo 2017 tutto in salita ho conosciuto anche questa cosa nuova del senso di sconfitta. Non che abbia sempre vinto in tutte le cose che ho fatto; però ho sempre lottato, ci ho messo il centopercento e spesso anche di più: le sconfitte non erano mai veramente una sconfitta, ma un passaggio, una prova in qualche modo comunque superata. Invece quel volo di rientro anticipato dal Sud America mi appariva come una sconfitta definitiva, totale.

In un altro post che sto scrivendo da mesi (“Che cosa si prova a compiere 50 anni”, che di questo passo tra poco aggiornerò in “60”) cerco di raccontare come invecchiare per me sia legato a una serie di momenti che poco hanno a che fare con gli anni o le scadenze del tempo; ho compiuto 50 anni una sera giocando a calcetto, li ho compiuti durante un lungo viaggio sulla Route 66, e certamente li ho compiuti quella notte a La Paz, Bolivia, quando abbiamo deciso di tornare in Italia.

Una giornata piena di luce e tante ombre e paure salendo al Passo dello Stelvio da Prato.

Una sconfitta tanto dolorosa che poi è servito a poco anche andare a cercare conforto in montagna, di nuovo sullo Stelvio o a rivedere il Gavia: appena arrivati sono stato a letto tutto il giorno e per un giorno intero, formalmente colpito dalla dissenteria, ma certo non è stato quello che avevo mangiato ad aver mandato in tilt tutto il sistema. Il giorno dopo siamo saliti sullo Stelvio da Prato allo Stelvio e Quell’Altro mi ha letteralmente trascinato per quegli ultimi 500 tornanti, perché io a un certo punto mi sarei fermato, avrei preso un altro volo di rientro dal Sud America.

Ciao Marco, come va?
Adesso veramente di merda, grazie.

Ma non solo cose così in questo 2017, perché il fatto di non stare bene mi ha fatto mettere a fuoco altro, conoscere elementi di puro benessere. La bici, non lo ripeterò. Quell’Altro, che non lo dico mai e meno che meno lo dico a lui, però in questo fluttuare del mio umore, in questa ricerca perenne di qualcosa che non trovo e che probabilmente non esiste, è un punto fermo senza il quale chissà. Qualche amico che vedo sempre troppo poco e anche quelli che non vedo mai, che forse nemmeno lo sanno che siamo amici. Eppure capita di trovare una foto su Instagram (ecco, è questa cosa qui internet) e sentire che chi l’ha scattata eri in fondo tu, come se fossi tu. Ha fissato, fermato un posto e un momento che anche tu, proprio uguale. Tanti amici di bici, tante foto di montagne, tante strade (promemoria: cercare di spiegarlo perché la strada fuori e dentro le città è un luogo così speciale per me). Mi ha fatto stare meglio guardare i percorsi dei miei amici inconsapevoli su Strava più che leggere post pieni di inutile aggressività su Facebook.

Sapere che ci sono persone come te, è una cosa che ti fa stare bene, chissà perché.

Poi è arrivato settembre. Uno dei miei mesi preferiti (coming out: sono cresciuto con September morning / Still can make me feel that way) che ultimamente era diventato un incubo perché qui si concentrano tutte le sostanze alle quali sono più allergico, e quindi etcium tutta la notte e mal di testa furibondo durante il giorno. Invece il 2017 tra un malessere e l’altro mi ha portato in regalo un nuovo allergologo e un nuovo trattamento e un settembre senza sintomi.

È arrivato settembre e ho capito che mi serviva qualcosa per uscire da quel tunnel, per cambiare il senso di un anno così. Adesso, mentre scrivo, penso che forse sarebbe stato più saggio andare da uno psicologo o da uno psichiatra o da entrambi e di corsa, ma per fortuna io saggio non lo sono mai stato: mi sono iscritto alla maratona di New York, di corsa.

Che cosa c’entra? Nulla. Apparentemente almeno. In realtà New York vuol dire parecchie cose per Quell’Altro, per me, per noi due insieme, per noi due separati. Questo 2017 di montagna è stato anche l’anno di Paolo Cognetti delle sue otto montagne, lui che ha saputo cogliere tanto di quella New York che è così speciale per noi. New York, le montagne. Tutto torna, vedi?

Non c’entra nulla, però per me ha significato davvero tanto. Prepararla, correre e correre e ancora correre. E poi correrla. Devo dire la verità: sono passati quasi due mesi da quel 5 novembre e ancora ne sto pagando le conseguenze a livello fisico perché almeno metà di quei 42 km li ho corsi con la testa, dato che le gambe e le caviglie e le ginocchia non mi avrebbero portato nemmeno a uscire da Brooklyn. E però proprio averla finita nonostante il male e la fatica fuori dalla mia portata fisica, averla finita mi ha fatto uscire da quel tunnel dove mi ero infilato, e chissà come mai.

Ehi Marco, come stai?
Meglio, sai?

Il senso di sconfitta definitiva che mi era piombato addosso quella notte a La Paz, Bolivia, e quello di una vittoria strapreziosa tra il Bronx e Central Park: ho compiuto 20 anni quel giorno di due mesi fa, e il mondo improvvisamente è tutto ancora intero, è tutto chi lo sa.

Quello che non potevo immaginare il 5 novembre era che il 2017 non finiva affatto con il traguardo della maratona e una medaglia luccicante, e che ci sarebbero state tante altre salite per me. Ma questa è tutta un’altra storia e aspetterò il 2018 per raccontarla.

Il mio 2017 di bicicletta e di tante salite, alcune durissime.