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Neve e beat

Siamo a Leukerbad, qualche giorno di terme e rigorosamente lontani da attività fisiche come lo sci o altri sport. Con grande emozione sperimento per la prima volta un collegamento wlan: dalla camera dell’albergo (dalla quale vedo cumuli di neve e gente che si butta in costume nelle piscine all’aperto) accendo il portatile e sono su Internet. OK, niente di rivoluzionario però l’emozione della prima volta c’è tutta; e non rimpiango quei collegamenti un po’ provvisori da qualche Internet Café per leggere la posta o scrivere mezza riga nel blog.

Quest’anno inizia all’insegna della neve, un po’ come era finito il 2005: mi porta indietro negli anni, non ricordo una Milano innevata così spesso e non ricordo una vacanza in montagna con così tanta neve. Mi piace. Da piccolo fantasticavo a immaginare come potesse essere diverso un paesaggio durante l’estate, mi faceva impressione immaginare la staccionata che adesso si vede appena, immaginarla libera dalla neve a delimitare qualcosa di concreto, qualcosa che adesso non si vede e quindi non esiste.

Voterò per Dario Fo alle primarie. Mi sono convinto definitivamente leggendo questa sua affermazione

Io non sono un moderato […]
Oggi sembra che non essere moderati sia un difetto o un delitto; oppure che sia un privilegio dei giovani

Credo che il 2006 sarà il mio anno beat; già da qualche mese leggo con crescente interesse di Kerouak, Allen, Corso e tutti gli altri; leggo e mi chiedo come mai siano in fondo così poco riconosciuti come i veri modernizzatori delle nostre generazioni, come coloro che ci hanno portato fuori dal pantano di tutti i conformismi e insegnato a vivere la vita in modo aperto e libero. Altro che ’68. Qui siamo all’inizio degli anni ’50!
In questi giorni sto leggendo un saggio di Fernanda Pivano (sempre più grande nella mia considerazione – è stata lei a far conoscere in Italia i ragazzi della beat generation), Beat Hippie Yippie, che racconta molto di quella generazione e di un’America bella, un rinascimento americano che passa attraversa la poesia prima e Bob Dylan poi. Forti emozioni insomma. La prefazione della Pivano stessa alla nuova edizione mi ha quasi commosso:

Questo libro, dolcissimo libro di sogni, di utopie, di dubbiose speranze, è nato nel 1977, è stato ristampato nel 1990, ha avuto una melanconica prefazione nel 1996; e ora viene riproposto ai giovani nuovi, magari già figli dei giovani di allora, con le utopie e le speranze diventate ricordi, le intemperanze e le contestazioni diventate impegno nel non-impegno, il Moratorium Day e la pornografia della violenza diventati simboli di sconfitte che non si vorrebbero accettare senza speranza.
Gli eroi di quei giorni sono quasi tutti ammutoliti nel destino, fotografie tragiche per ricordarli a chi non riuscisse a dimenticarli, Allen Ginsberg al telefono a chiedere perdono mezz’ora prima di morire, Gregory Corso svenuto su di lui morente dopo aver gridato piangendo “Don’t go” […], Jack Kerouac divorato dal suo veleno forse ancora aspettando che “Dio gli mostrasse il suo volto”, Neal Cassidy muto per sempre sulle rotaie del suo treno di frenatore […].
I sogni li avete portati con voi, quei sogni fuori dal tempo e dallo spazio, che entrando adolescenti all’Università avete chiamato New Vision, e Kerouac li inventava, e Ginsberg li diffondeva, e i giovani li vivevano, e i giornali li divoravano e giocavano a chiamarli Beat, oh dolcissimi amici, mi avete proibito per quattro anni di usare questa parola, poi chissà cos’è successo, mi avete telefonato: “That’s okay go ahead”, e i vostri sogni sono entrati nel mondo.

Come si fa a non piangere un po’?