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Dico che sono sempre più spaventato

L’ho ricevuta per email, non ho verificato la fonte, non ho chiesto il permesso di pubblicarla, ma mi sembra assai interessante e quindi intanto la pubblico, poi verificherò.

Riconosciuti, sì… pagando
Ogni occasione ha la sua famiglia
di Daniela Mantovani(bologna)
Ricercatrice presso il Dipartimento di Economia Politica Università di
Modena e Reggio Emilia

Leggendo i giornali di più ampia diffusione, inclusi quelli della sinistra,
si trae la chiara sensazione di un evento -la nascita dei DICO- che, seppur
con molti limiti, sta segnando un primo timido passo verso la creazione di
un sistema di diritti che includa anche gruppi di persone fino ad ora
esclusi da ogni forma di protezione sociale. Tant’è che anche all’interno
del movimento GLBT vi è una componente che punta, pur lamentando la troppa
“prudenza” della legge, ad una approvazione della proposta, possibilmente
migliorata (non si capisce da chi, visto che la proposta è stata firmata da
tutti i partiti della maggioranza). Mi permetto perciò di intervenire nel
dibattito come economista esperta di sistemi di protezione sociale; una
esperienza che mi permette di analizzare le conseguenze di una eventuale
introduzione dei DICO nel nostro sistema da un punto di vista non comune,
che credo possa fornire a tutti materiale per un dibattito più meditato ed
articolato. La nuda realtà è che questa proposta di legge non è il “poco, ma
sempre meglio del niente attuale” che molti ci vogliono far credere; I DICO
rischiano, se approvati, di riuscire in un’impresa che neppure si poteva
immaginare: togliere diritti a chi già non ne aveva. I DICO sono la proposta
di un sistema punitivo destinato a peggiorare le condizioni concrete di vita
delle coppie omosessuali. Infatti, per ora, i membri di una coppia di fatto,
ai fini del sistema di protezione sociale, sono trattati esattamente come i
single, mentre i diritti alle erogazioni di protezione sociale dei membri di
un DICO saranno minori di quelle spettanti ai single.
I DICO non sono una cattiva legge, bensì una legge cattiva. Lascio ai
giuristi la discussione delle parti già tanto controverse sul riconoscimento
formale delle coppie, sulla regolamentazione delle visite negli ospedali e
sulla successione nel contratto di affitto, per concentrarmi su altre parti
della proposta che possono perfino apparire, ad un’analisi molto frettolosa,
delle mezze conquiste. Mi riferisco proprio alle parti che regolamentano la
successione (che comporta qualche concessione al riconoscimento di diritti
successori molto limitati, dopo almeno 9 anni di DICO, vale a dire non prima
del 2017 – una concessione alla possibilità di ripensamento del
legislatore?) e, soprattutto, alla pensione ai superstiti; in questo caso l’
unica cosa decisa è il limite massimo ai diritti acquisibili dalle coppie
DICO, molto inferiore a quello attualmente concesso ai coniugi, non sono
invece definiti limiti minimi al di sotto dei quali i diritti previdenziali
dei membri di un DICO non possono andare. In altre parole non sono previsti
interventi di protezione sociale aggiuntivi rispetto alla situazione in
essere. Nessuno dei trasferimenti di protezione sociale previste per i
coniugi (assegni familiari e al nucleo familiare, licenza matrimoniale,
assenze dal lavoro per assistere il coniuge malato …) e nessuna detrazione
d’imposta per carichi familiari è stata estesa ai membri di un DICO. Basta
però inserire la proposta di legge nel contesto di protezione sociale
italiano per capire che i DICO non sono solo una collezione di dichiarazioni
cattive ed offensive contro le persone omosessuali, ma sono anche uno
strumento per ridurre la quota di spesa sociale che le persone omosessuali
oggi ricevono. L’ironia sta proprio nel meccanismo pratico che permetterà di
ridurre i trasferimenti e i servizi a cui ora possono accedere alcune
persone omosessuali: l’appartenenza allo stesso nucleo anagrafico,
condizione necessaria per essere membro di un DICO. Per capire il
funzionamento del meccanismo che voglio descrivere basta immaginare che le
persone omosessuali abbiano, come tutti, dei percorsi di vita articolati e
complessi. Mettiamo che la nostra persona omosessuale abbia anche altre
caratteristiche che gli/le permettono di accedere ad un qualche servizio
sociale. Ad esempio, sia la madre di un bambino che va all’asilo nido, o sia
un anziano malato e bisognoso di assistenza di lunga durata. Questo tipo di
servizi viene erogato o finanziato dai comuni e il contributo chiesto alla
famiglia dipende dal reddito della famiglia del soggetto coinvolto (“prova
dei mezzi”). Il calcolo della retta avviene secondo un meccanismo piuttosto
complicato, chiamato ISEE, che tiene in considerazione la numerosità
famigliare, il reddito e la ricchezza di tutti i membri della famiglia.
Questo è il trucco: la famiglia considerata ai fini del calcolo dell’ISEE è
la famiglia anagrafica. Se quindi la nostra signora, madre di bebè, si unirà
(firmerà? stipulerà? raccomanderà?) anagraficamente in un DICO, il reddito
dell’altro membro del DICO verrà considerato ai fini dell’ISEE (da subito) e
quindi la retta da pagare all’asilo nido aumenterà, da subito.
“Naturalmente”, la compagna della nostra signora che deve contribuire al
mantenimento e alla cura del bebè, non ha con quest’ultimo/a alcun legame
riconosciuto, neppure nel caso di morte della madre naturale: niente
eredità, niente reversibilità, perfino bebè adottabile da estranei, purché
eterosessuali e sposati. Lo stesso discorso, ovviamente, si applica al caso
del signore anziano e malato, se unito con DICO ad un partner, questi avrà l
’obbligo di assistenza economica e materiale e perciò dovrà pagare la retta
(maggiorata) per l’assistenza domiciliare o della casa di cura cattolica.
Magari senza poter neanche visitare il compagno perchè, come la legge
permetterà, il regolamento della casa di cura autorizza le visite solo per
figli e coniuge.
Ogni occasione ha la sua famiglia. A ben vedere si tratta di un meccanismo
molto semplice: c’è una definizione di famiglia quando si deve dare e un’
altra quando si deve prendere (chi l’ha detto che adesso la famiglia è una
sola?). L’idea geniale sta proprio nel definire famiglia le coppie
omosessuali solo quando le si deve far pagare. E’ molto difficile credere
che questo meccanismo sia sfuggito agli estensori del progetto di legge, se
non altro perchè L’ISEE è stata introdotta dal precedente governo di centro
sinistra, di cui la Bindi faceva parte. A dire la verità, il meccanismo che
ho appena descritto è un vecchio trucco, conosciuto da tempo, di fatto
incluso nell’armamentario di quasi tutti i sistemi di sicurezza sociale.
Esempi sono il Regno Unito dove le coppie di fatto (di fatto proprio, non
unite civilmente) non possono accedere ai trasferimenti previsti per i
coniugi, ma vedono i loro redditi sommati per il controllo dei mezzi ai fini
dell’accesso all’assistenza sociale. Oppure in Francia, dove i partner
informali non accedono certo al quoziente famigliare, ma gli assistenti
sociali vengono spediti senza remore ad annusare le lenzuola dei conviventi
per appurare l’esatta natura dei loro rapporti, si sa mai che si possano
mantenere reciprocamente così da risparmiare sull’erogazione del reddito
minimo d’inserimento, in caso di indigenza di uno dei due. La differenza
rispetto al nostro paese è che mentre negli altri paesi ci si può sottrarre
alla discriminazione sposandosi o unendosi civilmente, da noi l’unione nei
DICO sarebbe proprio il mezzo attraverso il quale il meccanismo
discriminatorio agisce. La condizione prospettata per le coppie omosessuali
sarebbe un po’ come quella degli ebrei nell’Europa medievale: il diritto di
esistere, pagato con tasse salate versate ai cristiani, vivendo marchiati
con la stella di David sui vestiti e chiusi in un ghetto (o, almeno, con un
certificato anagrafico che indica una cittadinanza di serie B); se capita l’
occasione, con i bambini sottratti per essere educati in un ambiente più
consono ai bisogni del loro spirito. Non si tratta di un evento senza
precedenti, i pionieri dei diritti delle persone omosessuali sono spesso
caduti in questo tranello, negli anni ottanta. Chi si occupa di politiche
sociali sa benissimo che nella babele delle norme e politiche in atto si
producono interazioni di ogni genere, con effetti non sempre ovvi (ma in
questo caso lo sono). Per questo la valutazione degli effetti di una
politica si fa misurando la variazione delle imposte versate, dei
trasferimenti ricevuti e dei servizi fruiti seguendo i concreti percorsi di
vita delle persone, non certo sulla base di affermazioni di principio e
dichiarazioni di “civiltà” autocertificate dagli estensori di una legge. Ho
troppa stima per la competenza dei ministri e dei politici del
centro-sinistra che si occupano di sicurezza sociale per pensare che
conoscano così male i ferri del mestiere da essere scivolati su una buccia
di banana. Questa proposta di legge non ha certo lo scopo di migliorare le
condizioni di vita degli omosessuali. Credo quindi che i nostri politici ci
debbano almeno una spiegazione -seria però, stavolta- sul perchè hanno
deciso di portarla avanti.