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Wired Italia: di nome, ma non di fatto

Wired Italia non mi ha convinto. I giornali non si devono mai giudicare dal primo numero, ma per ora proprio non vedo il giornale. Prima di tutto c’è questo richiamo al Wired originale e, soprattutto, al contesto culturale nel quale è nato: io naturalmente spero di sbagliarmi e di scrivere qui tra un anno che non ho capito nulla, ma l’Italia, Milano, del 2009 mi sembra quanto di più lontano ci possa essere dalla San Francisco del 1993: noi scopriamo Facebook, loro inventavano la cultura digitale. Ma a parte questo, e a parte un certo fastidio per il richiamo a quel giornale più che mitico, Wired Italia non mi convince soprattutto perché dopo averlo sfogliato e letto mi si è materializzato un enorme punto di domanda sulla testa: e quindi? Che cosa mi vuoi dire?
Ora, può anche darsi che io non sia nel target, però io da questo giornale mi aspetto: sintesi, chiarezza, messaggi, percorsi, chiavi. E invece qui vedo piombo, molto piombo. Testi lunghi, troppo lunghi, senza chiavi. Con alcune scelte grafiche e di impaginazione che…mah! Quel pezzo di Luca Sofri con testo bianco su fondo nero: ragazzi, i vostri lettori sono sui quaranta, non sono più in grado di leggere quei formati. E per entrare nel merito: quel che scrive Luca è bello e interessante, ma parla di un mondo piccolo, di poche centinaia di persone – forse migliaia. Pochi e con pochi mezzi per incidere davvero sul resto della popolazione. Wired Italia sarebbe il giornale per quei pochi? O per gli altri? Non capisco.
Poi: la pubblicità. Ordinaria. Certo, di questi tempi c’è da leccarsi i baffi, vorrei dire. Ogni pagina di pubblicità sui giornali è un piccolo miracolo. Però da un giornale come Wired Italia io mi aspetto un gran lavoro anche sulla pubblicità, con tutto il rispetto per la marca che ora mi sfugge, ma se stai su Wired Italia e mi vuoi vendere il tuo deodorante lo devi fare in un altro modo, non come lo faresti su Men’s Health, per dire. Non c’è una sola pagina di pubblicità che faccia pensare a quel mondo al quale il giornale dice di rivolgersi.

Ma su tutto: questa sensazione di eccesso. Troppe cose, troppo confuse, molto rumore e pochissimo segnale. Aspetto con simpatia il prossimo numero.