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Un vuoto immenso, eppure così pieno: il Grand Canyon

Ci sono tante cose che ricordo dei nostri viaggi, ma molte di più probabilmente me le sono dimenticate. Mi tornano in mente sfogliando i miei quadernetti di viaggio e in quel momento mi sembra di sentire anche il vento, se c’era, il caldo, che faceva, la voglia di non muoversi più, sempre.

Però quel momento di quel viaggio non me lo dimenticherò mai più. Anzi, quei momenti in quei viaggi, tutti quei momenti non me li dimenticherò più. Siamo arrivati per la prima volta al Grand Canyon l’11 agosto del 2003. Era mattina, alle spalle le classiche centinaia di miglia delle autostrade di quel pezzo d’America, una grande curiosità per quella cosa che in tanti ci avevano descritto e della quale tanto avevamo letto e visto. Parcheggiamo, scendiamo dalla macchina. Siamo a Mather Point, uno dei tanti punti di osservazione. Mentre ci avviciniamo al bordo siamo confusi, perché passo dopo passo percepiamo il vuoto che c’è poco più avanti, un vuoto immenso che però è tutto tranne che vuoto. È un vuoto pieno di cose.

Ecco, quel momento quando per la prima volta abbiamo visto davvero che cos’è il Grand Canyon, quel momento preciso è uno di quelli che non si dimenticano più. Quel misto di stupore infantile ed emozione adulta, consapevole.

Io ricordo benissimo che cosa ho pensato: un dio deve esistere per forza. Perché non può essere stato solo un fiume a fare tutto questo. Oppure quel fiume, il Colorado, è proprio lui dio. E poi ho pensato: voglio essere sepolto qui.

Non ricordo nemmeno se ci siamo guardati, noi due, ma era come se stessimo guardando dentro quel vuoto immenso con gli stessi identici occhi. Siamo stati zitti per un po’, poi non c’è stato bisogno di dire molte altre cose. A sera, prima di andare via, dopo averlo visto da tutti i punti possibili, ci sediamo sul bordo e siamo disturbati da un gruppetto che faceva un gran chiasso: come si fa a gridare in un posto così? Noi abbiamo solo voglia di stare zitti. E io penso: dopo aver visto il Grand Canyon che cosa mi potrà ancora emozionare?
Poi per fortuna le emozioni sono arrivate anche da tante altre parti. Ma non dio. Dio, quel dio, è rimasto il Colorado, i colori che cambiano minuto dopo minuto, la roccia scavata in milioni di anni, le aquile. Dio è rimasta quella cosa che non si può fotografare, non si può raccontare, non si può dimenticare.

E però ci siamo tornati. Il 7 agosto del 2006. Sapevamo che cosa aspettarci, sapevamo che cosa c’era oltre quel bordo. Eppure lo stupore è rimasto quasi immutato. Ci siamo stati un giorno intero. E il giorno dopo lo abbiamo visto da un elicottero, siamo andati fin dentro il Grand Canyon, un pezzettino del Grand Canyon. E poi abbiamo fatto non so quante centinaia di chilometri in poche ore per vederlo anche dall’altra parte, dal South Rim al North Rim che sembrano a un passo in linea d’aria, che però sono lontanissimi. Dal South Rim percepisci soprattutto la profondità, appunto quel vuoto pienissimo che dicevo prima. Dal North Rim il Grand Canyon diventa larghissimo e lunghissimo, il grande Colorado quasi scompare, tutto è completamente diverso. Diverso anche il clima: qui siamo in alta montagna, d’inverno la strada è chiusa, ci sono solo un lodge e un campeggio. Da qui il Grand Canyon è un po’ più ruvido e scorbutico.

Io gli dico arrivederci, s. continua a dire che sarà difficile tornarci ancora. Per lui è un addio, o quasi. Io penso che mi piacerebbe vederlo dal fiume, che è il punto di osservazione che ci manca.

Adesso forse ci stiamo per tornare, non sarà dal fiume, ma che importa? Sto per tornare a incontrare quel dio che ho visto solo laggiù e ho un sacco di cose da raccontargli.