Home » Pagare per le news? Certamente, ma non queste

Pagare per le news? Certamente, ma non queste

Quando uno fa di mestiere il giornalista “specializzato”, come è capitato a me, cresce professionalmente notando gli errori dei suoi colleghi veri, dei quotidiani e dei periodici, che quando trattano qualche argomento legato all’area della sua specializzazione tendono a scrivere molte castronerie. A me è capitato con la tecnologia, ma immagino valga in tanti altri settori.
Poi, con il tempo, si impara: in alcuni casi i colleghi sono davvero incompetenti e incapaci di approfondire, in altri casi (quanti non saprei) fanno semplicemente operazioni di sintesi e di semplificazione. A volte per farsi capire da molti bisogna puntare più alla semplicità che alla precisione.
La discussione resta aperta, ma diciamo che oggi sono molto più tollerante di un tempo e non mi scandalizzo né stupisco quando, per esempio, vedo massacrata la storia di Internet, confusi mezzi e messaggi, attribuiti poteri soprannaturali al social network del momento.

Mi sono invece davvero scandalizzato rispetto al trattamento professionale del caso della swine flu o nuova influenza o influenza A(H1N1). Sono rimasto sconcertato e deluso per la scarsa professionalità della maggior parte dei colleghi che hanno trattato il tema sulle principali testate on line italiane. Dovendo partire per gli Stati Uniti, in quei giorni ho monitorato direi minuto per minuto il mondo delle news italiano e internazionale, per arrivare a scoprire che la vera malattia rischia di essere qui da noi l’assenza di un’informazione almeno decente.

Non sto nemmeno a dire dei formati: mentre noi pubblicavamo migliaia di parole, le testate internazionali producevano grafici, tool interattivi, video e quant’altro. Un altro mondo rispetto al quale c’è poco da commentare: non è colpa di nessuno se in Italia i giornalisti hanno sempre considerato la multimedialità (e già questo termine…) come un capitolo del contratto e non come una gigantesca opportunità professionale.

Il problema vero, però, sono stati proprio i contenuti: per ignoranza o incapacità (dire quale delle due circostanze sia peggiore è dura) si è scelto di alimentare un’ondata di emotività senza introdurre non solo alcun elemento scientifico, ma nemmeno alcuna considerazione razionale.

I giornali americani pubblicavano decide di link ai siti ufficiali, quelli dove – per esempio – ci sono scritti i numeri di morti negli Stati Uniti in un anno qualsiasi per un’influenza qualsiasi, e da noi si soffiava sul fuoco della P A N D E M I A, come se questa parola stesse a indicare la pericolosità del virus e non la sua diffusione geografica. Sarebbe bastato navigare un po’ per scoprire (e qui faccio io la figura dello sprovveduto rispetto a colleghi specializzati in materie scientifiche, lo so) che mondo di informazioni, dati, analisi, statistiche ci sia dietro il termine influenza. E che mondo affascinante e misterioso siano i virus.
Insomma: un vero giornalista avrebbe avuto pane per i suoi denti, anche usando solo Internet (partite dal Centers for Disease Control and Prevention e non vi fermerete mai più). Invece: niente di niente. Vuoto assoluto. Il clamore, un gran polverone e poi nulla.

Si parla in questi giorni di tornare al modello dei contenuti a pagamento. Capisco perché il tema è di nuovo sul tavolo (lo capisco perché anch’io penso a che cosa pagherà il mio stipendio) e penso sinceramente in molti siano e saranno disposti a pagare per contenuti e servizi di qualità. Se guardo al mondo delle news in Italia, però, penso che quel modello non abbia alcuna speranza. E con il modello anche un bel pezzo della professione giornalistica, che – rinnovato il contratto – dovrà pensare a un rinnovamento che non sia solo di facciata o di intenzione.

Quanto all’altra, nuova, innovativa, indipendente, giovane, eccetera informazione che sarebbero i blog: non pervenuta. Quando si tratta di passare dal chiacchiericcio alla sostanza, oramai lo sappiamo, la blogosfera nostrana sparisce nel nulla.