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L’Iban non è così male, cara Mafe

Cara Mafe,

è sempre la stessa storia: con te non si può parlare seriamente di Internet. Non si può dire del male dello stare on line, perché poi c’è sempre un male dello stare on life che vince. E se io volessi il meglio di entrambe le vite? La leggerezza di quella digitale, il rumore del mare di quella analogica. Chiedo troppo?

Leggeri. Non è che ce lo dobbiamo spiegare che cosa vuol dire essere leggeri, sono i rapporti e le relazioni e gli incontri che non si portano dietro il peso di cose non dette, racconti non fatti, telefonate dimenticate. Essere qui e adesso per te con quello che ho o quello che sono, e basta. Poi c’è un tasto per andare off line e non serve dare spiegazioni.

Io non sto così male con l’Iban, in fondo sono un uomo di procedure. Per me c’è qualcosa di rassicurante nell’economia domestica, nelle scartoffie, nei documenti. L’Iban è una certezza, almeno fino a quando non te lo cambiano; ti ho mai detto di quella volta che ma questo numero di conto corrente non è intestato a lei, signore?

Sto invece malissimo con i parcheggi. Quelli che posteggiano sulle strisce, sugli scivoli, di traverso sull’aiuola e sul marciapiede. Vorrei trovare un modo leggero per dirgli che cosa penso, ma non trovo quasi mai il loro indirizzo di posta elettronica.

Vedo che non mi hai detto nulla del Salento, pazienza. Tanto noi andiamo negli States.

E se invece del caffè facessimo una cena dell’equinozio? Sarebbe proprio il 22 settembre alle 21:18.

Ciao,

Mm.

PS: no, ma 0001101010011010111100001010