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La grande rivalutazione del tempo perso negli aeroporti

Poi dici ecommerce, tecnologia, innovazione. Poi dici: ah il treno, rispetto all’aereo. Poi pensi, andiamo in Svizzera, là sono più avanti.
L’avventura con Trenitalia inizia all’atto della prenotazione: s. cerca di comprare i biglietti on line, ma alla 12ma transazione abortita lascia perdere. Ci riesco io: Milano – Zurigo andata e ritorno, 2a classe, un furto di biglietto a 120 euro a testa (furto soprattutto rispetto al pessimo Cisalpino, sporco e vecchio).
Non si sa perché la modalità ticketless non funziona e compare anche uno strano avviso circa il fatto che a Zurigo non si possono stampare i biglietti in stazione.

Arriviamo in Stazione Centrale di corsa, ci metto un po’ a capire che quei totem con la scritta “vendita biglietti” servono anche per stampare i biglietti acquistati on line, inserisco il codice prenotazione e la macchina – più lenta di un computer ai tempi di Windows 3.1 – mi stampa il biglietto: non mi dice nulla del viaggio di ritorno e io, sciocco e illogico, non mi accorgo che il codice di prenotazione dell’andata è diverso dal codice di prenotazione del ritorno, nonostante la prenotazione sia unica e il viaggio, appunto, di andata e ritorno. Penso: ci faremo stampare il biglietto di ritorno alla stazione di Zurigo.

Si parte.

Passato il confine il treno inizia a dondolare e curvare e fare altri strani movimenti: faccio fatica a non vomitare e decido di prendere un panino, per non viaggiare a stomaco vuoto. Il vagone ristorante è uno spettacolo. Quando arrivo sono le ore 20: “vorrei due panini, per favore”; “eccoli”; “no, non un tramezzino con la maionese e il tonno e le uova, ma un panino”; “mi sono rimasti proprio solo questi: un tramezzino e un toast”. Li prendo, mentre il toast viene riscaldato arriva un poveretto che chiede una bottiglietta d’acqua: “l’acqua è finita, abbiamo la Coca Cola”.

Passano i minuti, i due che gestiscono il vagone sono presissimi a fare avanti e indietro con nulla in mano, anche perché non ci sono clienti – solo io che aspetto il mio toast – e anche ce ne fossero non avrebbero comunque quasi più nulla da vendere.

Dopo 10 minuti chiedo notizie del mio toast: “eccolo”. E’ il momento del conto: estraggono un bollettario da dogana anni ’60 e iniziano a compilare.

“Non abbiamo una calcolatrice, quanto fa 3,7 più 2,8?”. Non posso credere che stia parlando con me, ma invece sì. Passano altri 5 minuti e mi ritrovo con il mio bel foglietto giallo A4 con il conto, un toast rovente e un tramezzino. Torno al posto. Il resto del viaggio sono due ore di passione tra nausea e rumori di fondo e scomodità.

Di Zurigo e del perché ci siamo andati dirò in altro post.

Siamo in un negozio, s. tenta di pagare con la sua carta di credito, ma la transazione viene respinta: “deve chiamare la sua banca”. Paga con un’altra carta e usciamo. Telefonata, internazionale, al call center: “la carta è stata bloccata perché lei è entrato in un meccanismo di monitoraggio delle frodi a causa di tentativi di acquisto sul sito Trenitalia”.
“Bene! E che cosa devo fare?”
“Nulla, le devo passare il nostro ufficio frodi che la identificherà e sbloccherà la carta”
“Ottimo”
“…”
“Ma possiamo farlo solo in occasione del prossimo acquisto”
“Cioè per esempio questa sera al ristorante prima di pagare io dovrei fare un’altra telefonata internazionale a mio carico, subire un interrogatorio sul cognome di mia mamma e sul nome del mio primo cane, gestire lo sguardo severo del cameriere in attesa, e finalmente vedere sbloccata la mia carta per la quale pago un canone annuo di svariate decine di euro?”
“Esatto, ma noi non vogliamo arrecare disturbo ai nostri clienti”

Segue un cortese vaffa e tentativi di capire perché mai questa procedura antifrode non possa essere eseguita sul momento. Non ne veniamo a capo e decidiamo di rinunciare.

E siamo così al ritorno. Passiamo dalla stazione per lasciare le borse, per scrupolo andiamo in biglietteria: “il codice di prenotazione svizzero non è compatibile con quello italiano, io non posso stampare i biglietti”. “E quindi?”. “Non so che cosa dirvi”.

Uhm.

“Andrà a finire che dobbiamo ricomprare i biglietti”: ridiamo di gusto.

Il numero verde stampato sull’email di conferma di acquisto non si riesce a chiamare da un cellulare all’estero, quindi da un Internet point cerchiamo un altro numero sul sito Trenitalia: chiamiamo, c’è una segreteria telefonica che invita a lasciare un messaggio. Stremato, lascio nome e numero.

Solo una cioccolata della migliore pasticceria di Zurigo può cambiare il corso della giornata e proprio sul più bello: suona il cellulare. E’ Trenitalia: “avrebbe dovuto stampare il biglietto a Milano, usando il codice di prenotazione di ritorno”. Ricontrollo l’email, questa cosa non c’è scritta, però c’è scritto effettivamente che il biglietto va stampato nelle stazioni dove è disponibile l’apposito terminale e nell’elenco Zurigo non c’è.

Non riuscirai a farmi andare di traverso questa deliziosa panna montata.

“Deve acquistare un altro biglietto e poi chiedere il rimborso”.

Ci guardiamo: “senza un cellulare non si può più viaggiare, è chiaro”.

Compriamo un altro biglietto per tornare a Milano – con la mia carta ovviamente, essendo quella di s. bloccata per le ragioni che ho scritto; il viaggio di ritorno è se possibile anche peggiore di quello di andata. Quando scendo dal treno sono stravolto come nemmeno dopo la 24 ore di volo su 5 aerei per tornare dall’Asia l’anno scorso.

Alla biglietteria della Centrale di Milano c’è una coda, ma una coda che se non fossero 120 euro quasi quasi verrebbe da rinunciare. Dopo 15 minuti arriviamo allo sportello: il ragazzo è sveglio e preparato, ed evidentemente questo problema non è così raro. Succede quello che temevo: estrae un modulo di rimborso, tutto da compilare a mano. Mentre scrive noto sul banco una calcolatrice di quelle col rotolo di carta e una trackball al posto del mouse, non ricordo l’ultima volta che ne ho vista una; capisco che sarà dura. Il giovane deve scrivere un romanzo, la coda alle nostre spalle cresce.
Non è finita: anche io devo scrivere un sacco di cose sul modulo. Ci mettiamo 10 minuti: “adesso devo andare a protocollarlo”.

Giuro.

Torna con un foglietto: “le pratiche vengono raccolte una volta alla settimana e spedite a Firenze; poi ci vogliono circa 30 giorni per il rimborso”.

Ci lascia il foglietto col timbro tondo e il numero di protocollo e ci saluta sorridente.

Tornando a casa in tram decidiamo che il treno non fa per noi.