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Attenti ai froci, ma davvero

Ieri in pausa pranzo, in palestra, discorsi da spogliatoio tra un signore oltre i cinquanta, stile super dirigente o avvocato, forse più notaio, molto elegante e un ragazzo sui 35, manager in carriera in una grande azienda; parlano dell’Idroscalo com’era, di quando non c’era la pista asfaltata e si correva nel bosco: “e poi bisognava stare attenti, perché là in fondo c’erano i froci”. Quella parola, detta in quel modo, quasi con cattiveria.
“Ah già, madonna, che roba”
Io: “ma stare attenti, perché?”.
Loro: “scherzi? quelli se ti prendevano ti inculavano” (letterale, giuro).

Sempre ieri, la sera, alla segreteria del palazzetto, chiedendo quale fosse il campo (sì sì sono molto sportivo): “sono al campo B, i froci”. Io: “eh?”. “Sono tutti froci”. In effetti lo erano, ma io ignoravo che lo fossero (partita al buio). Ancora la stessa parola, con la stessa cattiveria.

Avrei dovuto dire qualcosa, reagire, sia nel primo sia nel secondo caso. O con un poderoso vaffa o con qualche altra arma dialettica. Ma, sai che c’è?, non ne ho avuto voglia. E che palle, non si può stare sempre in trincea. Mi sento in colpa per non aver detto nulla, amareggiato perché ok ti illudi che le cose cambino e invece cambiano solo in un piccolo mondo, ma non in quello grande, stanco di questa tensione che ti cade addosso nei momenti nei quali te l’aspetti di meno.

Ecco, sono quei momenti quando viene voglia di chiuderti in qualche ghetto, farti abbracciare dalla tranquillità di persone come te, che hanno appena preso gli stessi schiaffoni e non hanno voglia di dare spiegazioni sul perché questa volta se li sono fatti dare senza reagire. Ecco a che cosa servono quei ghetti.