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La mia prima volta con una trans: mi è piaciuto

Ieri sera sono stato con una trans. Più di una anzi, molte trans. È stata la mia prima uscita con Cabiria, il gruppo del Naga che si occupa di prostitute clandestine.

Il Naga è un’associazione di volontariato laica e apartitica che si è costituita a Milano nel 1987 allo scopo di promuovere e di tutelare i diritti di tutti i cittadini stranieri nonché dei cosiddetti nomadi, senza discriminazione alcuna.

Il Naga si dedica in particolare agli irregolari e di conseguenza Cabiria di prostitute (soprattutto trans) senza permesso di soggiorno. Ho scelto questa associazione proprio perché è vicina al cuore del problema: i diritti fondamentali delle persone. Quando, dopo alcune giornate di formazione, si è trattato di decidere con quale gruppo all’interno del Naga iniziare a lavorare ci ho messo davvero poco a farmi convincere da Cabiria. Prima di tutto perché è molto vicino alle trans e poi perché applica due principi che io trovo esaltanti: la riduzione del danno e l’assenza di un giudizio. Ecco: non giudicare, questa è la cosa davvero bella. Ho scelto Cabiria perché sono cresciuto ascoltando De André e sono sicuro che non giudicare è una cosa che mi riesce particolarmente bene.

Insomma, la mia prima volta. Ieri sera faceva parecchio freddo e nella zona in fondo a via Novara, tra Figino e il Bosco in città, c’era una gran nebbia. Abbiamo incontrato una quindicina di ragazze: portiamo preservativi, chiediamo come vanno le cose, facciamo due chiacchiere. Cerchiamo di capire se hanno dei problemi, dei problemi più problemi degli altri intendo, e ci raccomandiamo di fare spesso controlli medici, in particolare per le malattie sessualmente trasmissibili, che possono essere fatti in molte strutture gratuitamente e senza bisogno di avere il permesso di soggiorno.
Ma poi detta così sembra una cosa molto meccanica, e invece non lo è: si tratta davvero di una chiacchierata, che rende tutto forse anche un po’ buffo. Io col mio cappello col pon-pon che parlo con questa trans alta un metro e novanta e con le tette di fuori in un cespuglio lato superstrada in mezzo alla nebbia. Ecco, eppure, lo devo dire: sono storie sempre drammatiche raccontate col sorriso triste dei brasiliani, ma sono storie che ti fanno sentire dentro, non fuori. Ti tirano dentro. Almeno, io mi sono sentito così: dentro la loro storia. E quindi in qualche modo a mio agio. Ieri sera in quel cespuglio nebbioso non mi sentivo fuori luogo.

Certo, poi il problema è andarsene. Il problema è lasciarla dentro quel cespuglio la ragazzina nigeriana di 20 anni (dice lei) che ti guarda per chiedere aiuto ma con lo sguardo di chi non sa se si può fidare. E che alla fine si lascia convincere a lasciare il suo numero di cellulare per sentirsi il giorno dopo e magari accompagnarla poi da un medico per parlare di quel gonfiore che ha sopra l’occhio e che le fa male.

Io ho molto guardato e ascoltato e ho cercato di capire dagli altri che erano con me (ieri sera ero l’unico debuttante, i miei 4 compagni erano tutti veterani di Cabiria) che cosa bisognava fare, dire e come. Le trans mi hanno tutte accolto affettuosamente, mi hanno detto che il pon-pon mi stava bene, mi hanno sistemato il collo della giacca “così si vede meglio la sciarpa”, mi hanno baciato quando siamo andati via.

Tornando a casa difficile non pensare a loro: difficile non pensare e difficilissimo dormire.


Il furgone del Naga nella nebbia di via Novara.