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L’ente del turismo marocchino è contento e non ha speso nulla

Oggi mi hanno fatto vedere l’inserto viaggi-da-fare-adesso di Repubblica: New York e i mercatini di Natale. Poi ti chiedi perché l’editoria tradizionale vive momenti difficili. Una pagina su New York, nel 2010? Sarebbe un consiglio da professionisti?

Detto questo, anche la nuova editoria sul mondo dei viaggi e del turismo sta prendendo alcune strade inquietanti. Ci pensavo dopo aver scritto i post sul Marocco: sicuramente qualcuno andrà in Marocco a seguito di quei post. Una o dieci persone, non lo so, ma di certo qualcuno di quelli che passano da qui metterà il Marocco nell’elenco delle possibili mete per un prossimo viaggio. Se io fossi stato pagato dall’ente del turismo marocchino – o dalla sua agenzia di comunicazione – avrei raggiunto l’obiettivo, e anzi forse sarei anche andato oltre. Tuttavia, se avessi lavorato per l’ente o la sua agenzia probabilmente non avrei potuto essere altrettanto efficace, perché comunque loro avrebbero preteso metodi e stili che non c’entrano nulla con la comunicazione digitale personale. Per esempio avrei dovuto usare un tag tipo #visitmarocco o comunque qualcosa di “tracciabile”. Avrei poi dovuto essere probabilmente più rigoroso, ordinato, metodico, esaustivo. Avrei avuto tempi e formati.

Un ente del turismo – o la sua agenzia di comunicazione – che volesse “assumermi” per una missione non dovrebbe invitarmi a una conferenza stampa o pagarmi un viaggio o pagarmi un albergo. Dovrebbe fare una cosa diversa rispetta a quella che si fa, appunto, con i giornalisti. Dovrebbe convincermi a fermare il mappamondo su quel Paese la prossima volta che sto pensando a un viaggio. Convincermi ad andare lì, e basta. Il resto lasciarlo a me, contando sul fatto che i miei post produrranno viaggiatori.

Altrimenti tra poco anche sui blog comparirà il tag #visitnewyork.