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La bicicletta, ma non è solo quella

L’estate scorsa, a New York, era evidente. La gente della strada si guardava, e in quello sguardo c’era un saluto forte, intenso. Come il gesto d’intesa tra motociclisti, quel segno con le dita quando incroci un tuo simile, ecco: uno sguardo pieno di cose. La gente della strada là erano i ciclisti, quelli con lo skate, quelli con i pattini, i ragazzi dei pedicab. Appena sono salito sulla bici e ho iniziato a pedalare ho capito che esisteva quel codice e quella rete e quel modo di stare insieme. Cioè non l’ho capito, lo sto capendo adesso: in agosto l’avevo solo intuito. Per giorni la mattina andando a scuola ho fatto un pezzo di strada con uno skater, passando tra una macchina e l’altra insieme a lui e saltando i semafori rossi, con l’occhio complice del poliziotto all’angolo. Ci guardavamo con un mezzo sorriso, non ci siamo mai parlati.
Poi, col passare dei giorni e prendendo confidenza con le strade della città e con la gente della strada ho trovato tanti codici, tanti sguardi, tanti dettagli. Certo, la bicicletta, ma non solo.


Biciclette a New York

Mi sta capitando la stessa cosa a Milano. E vedo che capita anche ad altri: quelli che stanno per strada, soprattutto con le bici, assomigliano sempre più a una tribù. Non si parlano, ma si capiscono. Lungo grandi strade come via Padova o tutto corso Buenos Aires e nelle vie del centro: i ciclisti si scambiano segni non verbali – e forse non fisici – di saluto. Stare sulla bicicletta mi sembra stia diventando qualcosa di più, non è solo pedalare per muoversi. È una scelta di vita: la libertà, l’ambiente, la sfida, la solidarietà, l’indipendenza. Essere da soli e far parte di un gruppo – quasi di un branco.

Non lo dico a caso, del branco. Perché mi sembra che così iniziamo a essere percepiti. Sempre più spesso quando mi capita di parlare di biciclette in generale e di Critical Mass in particolare mi trovo davanti interlocutori che – da pedoni – si lamentano dei ciclisti che sono maleducati e pericolosi oppure che – da automobilisti – si lamentano dei “kamikaze contromano”, come se il problema fossimo davvero noi che andiamo in bicicletta (e quando ci andiamo, visto che spesso siamo a nostra volta purtroppo anche automobilisti).
Il problema non sono quelli che vanno in bici, il problema sono le città che non pensano alle biciclette, il problema sono gli automobilisti che si sentono i proprietari della strada, a volte supportati in questo anche da codici e leggi scritti quasi solo per loro. Eppure l’Italia andava in bicicletta, però – certo – prima del boom della Fiat.
E comunque se capisco che quelli di Critical Mass facciano paura, forse perché non temiamo il traffico e le macchine e vogliamo occupare la strada, che è anche nostra, mi fa sorridere che per similitudine facciano paura anche quelli di Ciclobby, per dire, lo stato dell’arte del ciclista urbano, sempre perfetti con caschetti, giubbottini e tutto in regola, o le signore milanesi con i fiori finti attorno al cestino della bicicletta. Insomma diamo fastidio un po’ tutti, forse proprio perché siamo una tribù piena di gente così diversa, legata da questa cosa che sta crescendo, così come la consapevolezza che non è solo la bicicletta, appunto.

Per non dire del mondo dello scatto fisso. E di quelle biciclette sempre più essenziali, elegantissime e austere. Una moda, forse. Ma soprattutto la conferma di un legame forte, la solidarietà completa tra te, le tue gambe, i pedali, le ruote, la strada. Tutto insieme, si muove tutto insieme in modo armonico. Non è solo una bicicletta, appunto: sei tu che diventi un pezzo della strada.

La bicicletta, la musica nelle orecchie, gli altri attorno: life is good e io mi compro una scatto fisso.