Alla fine della proiezione di Milk ci sono le tipiche scene di commozione che caratterizzano questi film, e se poi è una storia gay peggio ancora. Certo che è lecito piangere: la storia di Harvey Milk è davvero drammatica e tutti noi abbiamo nei suoi confronti (come nei confronti di molte altre persone) un debito di gratitudine: non parliamo del medioevo, appena 30 anni fa c’erano posizioni negli Stati Uniti che in confronto anche gli amici della Lega sono dei sinceri democratici. Ma forse bisognerebbe piangere per un’altra ragione, cioè per il fatto che dopo di lui non c’è stato più nessuno, o quasi. E, soprattutto, bisognerebbe piangere per il fatto che noi qui in Italia avremmo un disperato bisogno di una figura del genere, qualcuno capace di aggregare (oh no, non come il Pd), qualcuno che sappia parlare di speranza, ma anche muoversi nei corridoi della politica.
Io mi sono un po’ commosso per quello, soprattutto. Avrei avuto voglia di piangere nel confrontare Milk con uno qualsiasi dei nostri autonominati rappresentanti.
Sul film, che dire? Sean Penn è superlativo, James Franco di una bonaggine sorprendente, San Francisco – un po’ sullo sfondo – la città dei sogni. Su Castro non so che cosa dire: ho sempre sentimenti ambivalenti nei confronti dei quartieri gay delle città: nel film l’ho guardato con emozione, quasi con tenerezza, forse perché lo si vede quando sta nascendo o crescendo. Se penso al Castro di oggi mi vengono in mente altre cose: un po’ di antipatia, turismo, ricchezza. E però: avercene. Non c’è bisogno di ricordare che a Milano il tentativo di quartiere gay è stato in via Sammartini e che a Roma la zona dietro il Colosseo è continuamente oggetto di attacchi (di vandali, picchiatori, poliziotti, bigotti eccetera).
Una cosa, però, mi ha colpito: l’assenza delle donne, l’assenza di transessuali. C’è una donna con un ruolo importante, ma in generale la presenza femminile è sullo sfondo e anche sullo sfondo sembra davvero molto leggera. Sarà davvero stato così?