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California Bakery: ascesa e caduta di un mito

A noi già bastava il nome, poi il locale era davvero carino e i muffin speciali. Ci siamo subito innamorati di California Bakery, una caffetteria in stile americano (ma largamente ed efficacemente rivisitato con occhi e mani europee) vicino a piazza Tricolore, qui a Milano. Il locale di viale Premuda è molto piccolo, i tavolini (peraltro bellissimi di Plinio il Giovane) piccini piccini, le sedie (idem) quasi delle bambole, però l’ambiente è di quelli che ti fanno stare bene e i dolci davvero buoni. Non solo muffin: tutta la produzione tipica americana (scone, bagel, cheese cake, apple pie, apple cake eccetera) e torte salate e poi il brunch, e le cene speciali. Insomma: ci piazziamo tutti i sabati mattina e siamo felici (cioè siamo felici per altre ragioni, ma quello è un buon modo di manifestarlo). Proviamo anche, direi tre anni fa, la cena del Ringraziamento e ci piace molto, un super tacchino e tante altre leccornie a un prezzo ragionevole.

Poi inizia a succedere qualcosa. Per esempio il sabato mattina iniziano a comparire le famiglie milanesi, quelle che ai bambini tutto è permesso e che si parla solo di golf (nel senso: campi da golf) e tate (nel senso: tate). Sopportiamo. Siamo abitudinari. Il sabato mattina alle 9 ci trovi sempre da California Bakery.

Poi iniziamo a notare che i muffin non aumentano mai di prezzo, o almeno non in modo evidente, ma diminuiscono di circonferenza: sempre più piccini, come le sedie del locale.

Poi: aprono una nuova caffetteria in piazza Sant’Eustorgio. Più grande e più bella. Ma pur sempre una caffetteria: andiamo a qualche cena. Urca: 45 euro per una serata americana sono un po’ tanti. Anche perché, a differenza di quel Ringraziamento, le porzioni e le quantità subiscono lo stesso destino dei muffin.

Queste belle caffetterie, arredate con gusto e che hanno oggettivamente qualcosa di diverso dai soliti locali, iniziano però a prendere brutte abitudini milanesi: diventano molto, molto costose; offrono porzioni sempre più dietetiche e meno americane. Un giochino, questo, davvero fastidioso.

Stiamo per decidere di cambiare aria, quando succede un fatto nuovo. L’aria, appunto. Tu entri nel locale di viale Premuda, ti fermi una mezz’ora, poi esci e puoi recarti direttamente in tintoria per lasciare giù tutto quello che indossi. Forse hanno iniziato a risparmiare anche sugli impianti di aspirazione, comunque: giacche, felpe, maglioni, jeans restano intrisi di quel tremendo odore misto di fritto e pane dal quale non c’è scampo. Così se oltre al mini-muffin devi anche lavare ogni sabato tutto quello che hai indossato per mezz’ora, alla fine lo stress diventa insostenibile.

Abbandoniamo. Non ci piace più lo stile, non ci piace il gioco del muffin, ci piace l’aria pulita.

Ah, mi arriva proprio ora l’invito per la cena speciale di San Valentino: 48 euro, bevande incluse, tintoria a parte. No grazie, faccio io un risotto a casa.

Peccato.