New York non è mai stata la mia città del cuore, l’ho già scritto, e ho già scritto che prima di partire, in quei giorni di fine luglio, ero agitato all’idea di affrontarla. Non è mai stata la mia città del cuore, quella è San Francisco, ma per come mi ha accolto e coccolato in quelle tre e passa settimane di agosto merita un posto speciale e un post diverso dai soliti (anche perché ormai è novembre e ancora sono qui a pensare all’estate…).
San Francisco è quell’amore a prima vista che non cambia più, la sua nebbia soprattutto, quel ponte, la baia e l’oceano e i ragazzi della Beat Generation (sì lo so che sono partiti da Nyc) e Castro; San Francisco è un viaggio e quel viaggio e un altro viaggio e quell’arrivo al sole del tramonto di Union Square.
New York per me adesso è dove il cuore batte forte, è la città delle mille città e delle mille persone diverse. Adrenalina pura, ma poi giri l’angolo e ti puoi rilassare come in nessun altro posto mai.
New York per me adesso sono anche i nostri segreti. In fondo siamo stati lei e io quasi da soli per un sacco di giorni, io ho parlato e pedalato e mi sono fatto delle promesse, sto cercando di mantenerle, ho dato degli appuntamenti, cercherò di arrivare puntuale. I nostri segreti soprattutto quelle sere, tante sere, sulla punta dell’Hudson River Park.
Comunque, io New York in quei 25 giorni di agosto dalla mia casa su Houston Street l’ho vista più o meno così:
- uomini: pantaloni sopra la caviglia con risvolto alto e mocassini
- uomini: uhm, molte teste rasate con barba lunghetta e curata
- uomini: i soliti americani, con quelle giacche sformate e le camicie larghe, mille volte più belli quando fanno sport
- sport: corrono, vanno in bici, giocano a calcio – tanto e in squadre miste, e passano molto tempo in palestra; se pensi di essere allenato, qui devi ricrederti
- palestre: quelle aperte 24 ore su 24
- palestre: toh, sembra l’ingresso di una galleria d’arte; toh anche questa; ecco, nuove idee per gli spazi degli allenamenti, cyclette vicino a zone salotto con sedie e divani antichi, i pesi quasi dentro il bar, altri attrezzi dentro il negozio di abbigliamento sportivo, le nuove palestre di New York sono spazi pieni di creatività, non solo di muscoli
- la stanza più calda del mondo nelle saune dei Russian Turkish Baths e mai avrei creduto di potermi poi buttare addosso quel secchio di acqua gelata
- 24 ore su 24: la domanda crea l’offerta che crea la domanda che crea l’offerta…
- se vedi una coppia che si bacia per strada non sono americani
- se vedi una coppia di uomini che si bacia in un angolo appartato di un locale gay, vedrai poco dopo arrivare qualcuno che gli punta una pila in faccia
- la migrazione di massa verso le biciclette, con le strade della città che diventano sempre più ospitali e i tassisti sempre più ostili (per risparmiare in molti fanno più bici e meno taxi); e se non c’è spazio per la pista ciclabile c’è comunque un segno per terra che garantisce pari dignità a chi viaggia su 2 ruote ecologiche: la strada non è solo tua, automobilista
- la bicicletta: in metropolitana è benvenuta
- in bicicletta la cosa più bella di questi 25 giorni: il giro di notte a Central Park
Critical Mass @ Central Park - la bicicletta: pedalare a Manhattan è stata una delle esperienze più emozionanti che mi sia mai capitato di fare, prima ti senti piccolo-piccolo, poi ti senti grande-grande; io comunque ci sono salito il primo giorno e sono sceso solo prima di prendere l’aereo di ritorno
- la bicicletta: l’ho comprata da George, e poi lui l’ha ricomprata da me
- George è sulla quarta con la A: siamo nel cuore dell’East Village
- l’East Village, per me: l’anima di questa città e la zona più bella e il posto più vivo e anche un po’ sporco e poco fighetto e tutto quanto
Pezzi di Village (East Village) e di Lower East Side (Ev e Les per gli amici) - un po’ sporco e poi c’era un mezzo sciopero di quelli della raccolta e quindi tanti rifiuti per strada e tanti topi, tanti davvero: nella metro, per strada, a Madison Park addirittura a decine; ci si fa l’abitudine il che significa che tutto il resto è talmente bello che i topi sono un dettaglio poco importante
- i locali gay dell’East Village in 2 parole: no consumazione obbligatoria, da 2 a 5 dollari a bicchiere, ti metti quello che hai – di gente in tiro nemmeno l’ombra, studenti della Nyu insieme ai loro prof (l’avevo letto, l’ho visto), juke box (scegli tu la musica), il solito pudore americano (nessuno che nemmeno si sfiora), la luce gialla di Grindr
- il luglio più caldo di sempre, dicono loro; un agosto davvero perfetto, dico io; il vero caldo assassino solo sulle banchine della metropolitana, aspettando – poi nei vagoni ci sono 10 gradi e molti cartelli “se ti senti male può essere per colpa del cambio di temperatura, sarebbe meglio non prendere la metropolitana – ma se leggi questo cartello l’hai già presa e quindi non ti vergognare a chiedere aiuto“; gli americani, come non amarli?
- la seconda cosa più bella: il percorso in bici per andare uptown sulla first avenue e quello per scendere downtown sulla second avenue, di notte, con i quartieri che si accendono uno dopo l’altro e la gente fuori dai deli e i taxi posteggiati per sonnecchiare e la città che sembra non finire mai laggiù e c’è sempre un po’ di vita e qualcosa da fare e qualcuno da vedere
- la vita, come nei supermercati sempre aperti: di notte c’è chi lavora per sistemare le merci sugli scaffali, i corridoi sono invasi di scatoloni e lavoratori sudamericani e cinesi sono seduti a disporre con cura le confezioni e i barattoli al loro posto; tu passi in mezzo a loro, quasi ti scoccia prendere quella confezione di corn flakes al miele Post che scombina tutto il loro lavoro; e la domenica sera quando la gente torna dal weekend c’è il massimo dell’affollamento, tipo Esselunga di viale Piave a Milano – ecco sì, qui l’ora di punta è mezzanotte, l’una
- i cereali al miele e i blueberry selvatici del Maine e i frutti di bosco in generale: come posso vivere senza?
- posso vivere senza anche perché qui da noi non c’è Whole Foods Market, un NaturaSì^1000
- tu pensi le discoteche a New York, chissà – e invece: niente di speciale
- in generale: i veri locali belli sono quelli che non vedi e non puoi vedere e che puoi conoscere solo se sei in qualche giro, se conosci qualcuno; sono locali senza insegna, magari in uno scantinato, all’interno di cortile, nel retro di un altro locale; mi hanno raccontato di questo ristorante messicano, raggiungibile passando da una porta staff only di un take away, attraversando un corridoio buio, aprendo un’altra porta che conduce a una cucina, passando attraverso cuochi e lavapiatti e infine arrivando all’ultima porta, dietro la quale si trova il locale “vero”
- il venerdì alle 11 di sera le ragazze sono già tutte ubriache, anche perché con 5 dollari hai una birra e almeno un paio di shot
- in questi quasi 10 anni dalla prima volta che ci sono venuto, ho visto una città che
ha deciso di farsi sempre più bella, come se si fosse messa davanti a uno specchio e avesse scelto con cura prima le creme e poi il modo di applicarle: anche nei quartieri meno noti e prestigiosi, c’è una crescente attenzione alla cura dell’arredo urbano, talvolta quasi maniacale; forse, ma dico forse, dopo l’11 settembre New York ha deciso che doveva diventare ancora più New York, e si è messa al lavoro - per non dire di Harlem, con interi isolati che solo una manciata di anni fa erano da coprifuoco alle 7 di sera e adesso sono più belli di Chelsea, con i viali alberati e curatissimi e nemmeno un pezzo di carta per terra; le classiche case americane su due piani che valevano 20 mila dollari adesso le vendono a centinaia di migliaia di bigliettoni verdi
- ad Harlem, al Jackie Robinson Park, eravamo una manciata di bianchi tra centinaia di neri che cantavano preghiere rock
- al Metropolitan ti chiedono quanto vuoi pagare per l’ingresso; il museo è bello, bellissimo, ok – ma un weekend a Napoli vale di più
- i musei, ecco io non capisco nulla ma iniziano a sembrarmi un luogo vecchio e inadeguato, come se non avessero ancora trovato la formula per adeguarsi a un mondo che cambia; poi sono pienissimi e quindi hanno ragione loro, ma essendo stato in tutti i musei di New York, ecco alla fine mi sono scoperto ad ammirare più la forma del contenuto; e poi manca un grande museo della fotografia, l’International Center of Photography è una delusione (dove sono le foto? voglio vedere fotografie a milioni); bella l’idea del museo della città contemporanea e davvero emozionante il Museum of Jewish Heritage, soprattutto la stanza affacciata sulla baia: quando ti avvicini alle finestre e vedi la Statua della Libertà all’improvviso senti anche le voci di testimoni che raccontano che cosa hanno provato arrivando in nave dall’Europa e vedendo quel monumento
- ci sono stato a vederla Miss Liberty, la trafila è da torpedone turistico e secondo me ne vale la pena solo se di New York hai già visto tutto il resto e più di una volta; io mi sono messo sulla punta del ferry, ho chiuso gli occhi e ho cercato di immaginare lo stupore e la stanchezza di migliaia di migranti che se la sono vista passare davanti (poi è arrivata una canzone sull’iPod e ho pianto per il resto del tragitto)
- alla fine anch’io me la sono vista passare davanti quasi ogni sera correndo sull’Hudson, la terza cosa più bella di queste giornate newyorkesi: l’Hudson River Park è un capolavoro di intelligenza urbanistica, con il recupero dei moli (in corrispondenza di tutti i vecchi pier c’è qualcosa, piuttosto che niente anche solo tre alberi e alcune sedie per guardare là verso il New Jersey), lo spazio per lo sport, il verde, installazioni e monumenti, una pista ciclabile che è una vera autostrada per andare dall’estremo nord all’estremo sud di Manhattann, eccetera eccetera
Hudson River Park - l’estremo nord di Manhattan, e fatichi a credere che sia Manhattan appunto
Come essere in campagna - l’East River, al confronto, è davvero poca cosa, nonostante il panorama fantastico dei ponti verso Brooklyn; provo a dirlo: è tutto un po’ triste, c’è una luce strana, la città offre il suo lato peggiore, chissà
- nei quartieri verso il fiume anche le scene più tristi, tutta quella gente con enormi sacchi pieni di bottiglie di plastica raccolte in giro che si trascina fino al supermercato per riscuotere la cauzione di pochi centesimi
- uhm, Brooklyn: Dumbo (Down Under the Manhattan Bridge Overpass) deludente e un po’ finto, ma ho visto i preparativi di un matrimonio sotto il ponte e mi sono commosso
Presto sposi sotto il ponte - però a Brooklyn è successa un’altra cosa da ricordare con le stellette:
Cinema all’aperto nel parco di Brooklyn (The Blues Brothers), la fatica di guardare il film e non la città là davanti - gli americani: se il meteo dice pioggia escono tutti con l’ombrello, anche il ragazzino portoricano pieno di tatuaggi e con la faccia cattiva; come fai a essere cattivo con l’ombrello?
- di facce cattive nel mio quartiere ne ho viste parecchie, poi con un sorriso è tutto risolto
- le sirene, molte volte durante la giornata, molte ambulanze, moltissimi pompieri: è una città che brucia, ancora – è il fuoco che l’ha cambiata e la cambia: qui radono al suolo e costruiscono una cosa diversa, ci sono interi quartieri e mondi che non hanno quasi lasciato traccia (quello tedesco attorno a Tompkins Square per esempio)
- vivere qui: non ha senso fare la spesa, hai tre supermercati o deli nel giro di 50, 100 metri, quando hai bisogno dello spazzolino scendi e lo compri; quando devi lavare qualcosa scendi e vai alla laundry; quando hai sete o fame, scendi a vai in un locale qualsiasi, dei mille che ci sono nell’East Village – e in città in generale; vivere qui d’estate, stai sempre fuori, sempre in giro
- sei in giro, è l’una di notte, vuoi vedere un film? puoi anche scegliere quale
- ufficiale: da Starbucks hanno ridotto le dimensioni dei muffin
- il Meatpacking mi è piaciuto più di giorno, la sera è una milanodabere^1000; alla fine mi sono adattato allo stile un po’ sporco dell’East Village e tra canottiera, catena della bici, grasso della medesima, eccetera, ecco in tutta la parte west (Meatpacking, Chelsea, Village) della città un po’ sfiguravo; ma anche no: in fondo qui davvero tutti se ne fregano, che è la cosa più bella
- a proposito di Meatpacking, l’High Line merita, è un altro esempio di recupero e trasformazione super
vecchie rotaie che diventano erba @ High Line - dicevo adrenalina, dicevo bicicletta su e giù per la città, dicevo la notte: il quarto giorno mi sono messo un attimo a letto alle 3 del pomeriggio e mi sono svegliato la mattina dopo alle 8 – poi però ho preso il ritmo della città, e forse perso qualche anno di vita
- la quarta cosa bella si chiama Empire State Building, e non è una banalità: ripulito dai ponteggi da vicino è bellissimo, ma è soprattutto da lontano che ho imparato ad apprezzarlo, mi ha fatto da faro per non perdermi in città
- “perdersi a Manhattam è impossibile” ed è vero; però io mi sono perso quasi tutti i giorni, e alla fine l’ho fatto diventare il mio modo di percorrere la griglia ordinatissima delle strade della città
- chiudo ripetendomi: Alphabet City è il cuore dell’East Village e il posto dove bisogna stare quando si viene a New York, definitivamente
Nel 2008 avevo scritto questo New-York-in-a-post.