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Marrakech e la sorpresa di scoprirsi

Sono a Marrakech da circa 24 ore e per la prima volta da quando viaggio mi capita di essere così totalmente stravolto da un posto. Non New York e l’America, non Hong Kong, nemmeno Tokyo.

Adesso sono rientrato nel riad per prendere fiato e scrivere questo post, poi uscirò di nuovo, ma senza nulla. Niente addosso, se potessi uscirei anche senza vestiti.

Sarà che decollare con una tempesta di neve e atterrare a quasi 30 gradi e col vento del deserto è uno choc soprattutto fisico, saranno gli odori di questa città e sarà il mio grande naso così ricettivo, sarà il tè o quelle altre tisane, non so: mi sono sentito subito diverso.

Sono partito pensando di fare un sacco di fotografie e arrivato qui mi sono accorto che non c’è nulla da fotografare o, meglio, che soprattutto le persone e i lavori dovrebbero essere immortalati, ma un po’ perché mi è sembrato subito un gesto molto aggressivo, un po’ perché se mi fermo a fotografare vengo circondato da ragazzi che mi vogliono vendere il fumo, un po’ perché è una cosa troppo da turista, comunque sia: ho messo via quasi subito la mia Canon. E anche tutto il resto: la guida, le mappe, gli appunti.

Mi è venuta subito voglia di spogliarmi appunto dell’armamentario del turista – nella peggiore delle ipotesi, o del viaggiatore – nella migliore, per diventare semplicemente uno che cammina per la città. Fino a quando ho girato con guida e Canon non è stato il massimo: la mia predisposizione al sorriso e l’accento italiano mi hanno sempre fatto muovere con un codazzo di varia umanità locale; ho notato che a quelli che girano in coppia e in gruppo succede meno, qui probabilmente sono abituati a considerare gli uomini soli come potenziali clienti per una serie di cose che vanno dalla droga al sesso passando per il mercato delle pelli o quello dei tessuti. Invece quando sono uscito senza macchina fotografica e guida è cambiato tutto, forse una vaga somiglianza fisica con la popolazione locale ha contribuito, comunque nessuno si è più avvicinato.

Ma è tutto diverso dal solito: ho messo la sveglia alle 7 pensando di uscire presto per fare tutte le cose che mi ero segnato e vedere tutte le cose che dovevo appunto vedere, ma quando la sveglia è suonata l’ho spenta e mi sono alzato alle 9, scoprendo poi che la colazione nel riad veniva preparata verso le 9:30, con calma, sul tetto, al sole fantastico di questa stagione.

Questa stagione che vuol dire: una maglietta di giorno, una felpa leggera di sera, una coperta pesante la notte.

Ecco, sarà anche il clima: abituarsi a un cambio di temperatura e ambiente in poche ore è complicato e sento che il mio corpo mi chiede di prendere i ritmi del posto e fare quello che fanno qui. Ieri sera ho cenato in una bancarella in Jemaa el-Fna, la piazza. Ho mangiato tajine e bevuto litri di tè alla menta e alla cannella. Poi ho girato tra la varia umanità che popola quel posto incredibile e bevuto due intrugli che non so che cosa contenessero, anche questo per me sorprendente: ti chiamano da locali grandi come un ascensore, tutti di piastrelle bianche, chiamano proprio te mentre cammini e tu ti devi voltare e a quel punto ti ritrovi in mano un bicchiere caldo e profumatissimo, e bevi, senza sapere cos’è, senza pensare all’acqua che usano per lavarlo, il bicchiere.

Mai mi era capitato di fare un viaggio così legato al cibo: sto mangiando e bevendo di continuo, proprio perché qui a differenza di altri posti (l’oriente, soprattutto) i profumi delle cose da mangiare e da bere hanno su di me un effetto inebriante. Gli odori di Hong Kong erano nauseanti per il mio gusto personale, quelli di Marrakech sono tutti perfetti (fatta eccezione per quelli delle pelli mentre vengono lavorate e fatte essiccare al sole). Per non dire dei dolci e della frutta, sempre in 24 ore non conto più i piatti di arancia e cannella.

Insomma, tornerò e non saprò nulla di questa città, se non che mi sono perso davvero. E non dirò quella cosa sciocca che mi è passata per la testa poco fa, come a cercare una scusa per questo stato di incosciente abbandono, cioè che non faccio nulla, ma penso tanto. No, non faccio nulla, cammino e bevo tè e non penso nemmeno.