È difficile non vedere come lo sviluppo della ciclabilità a Milano (e in altre città), unito a una maggiore consapevolezza dei propri diritti da parte di un numero crescente di persone che vanno in bicicletta, abbia portato alla nascita di correnti di opinione che se da un lato non possono oggettivamente attaccare l’uso di questo mezzo, dall’altro attaccano alcuni comportamenti dei ciclisti urbani. Le contestazioni le conosciamo: siamo dei fanatici, andiamo sui marciapiedi, passiamo con il rosso, non andiamo in fila indiana (peraltro: il Codice della strada permette di viaggiare anche affiancati in città, giusto per la precisione); e poi non usiamo le luci di sera, non mettiamo il casco (che non è obbligatorio, mai), sentiamo la musica con gli auricolari. Ci contestano di sentirci migliori perché andiamo in bici, ci chiamano sciure radical chic del centro o fighetti hipster a seconda delle circostanze.
Il tutto mentre Milano è assediata dalle automobili, che sono parcheggiate ovunque, che invadono gli scivoli per le carrozzelle e le strisce pedonali. Il tutto mentre migliaia di persone guidano aggiornando gli status su Facebook (andando in bicicletta ci si fa un’idea molto precisa di quel che succede negli abitacoli), superano qualsiasi limite logico di velocità, non si fermano mai mai mai per far passare i pedoni.
Forse è normale così: siamo cresciuti pensando che la strada sia il territorio delle automobili e quindi ci adeguiamo, subiamo. Oppure pensiamo che se gli automobilisti non fossero così liberi di fare quello che vogliono la città si fermerebbe, l’economia crollerebbe, tutto il sistema commerciale andrebbe in tilt.
Mi capita di pensare che sarebbe giusto anche raccogliere la sfida di alcune critiche e cercare una nuova alleanza per la città, lavorare per non essere percepiti come antagonisti delle automobili, ma solo dei comportamenti criminali in automobile.
Mi capita, poi succedono cose come quella di stamattina: un ragazzo di 31 ammazzato da un gesto sciocco. Una portiera che si apre, lo scarto per evitarla, la morte sotto un’altra automobile. Perché chi scende dalla macchina non guarda (forse sta leggendo Twitter), perché quello che arriva dietro va troppo veloce, è troppo vicino, è anche lui distratto da qualcosa. Il tutto in piena Area C, quella che dovrebbe essere l’oasi di Milano, in centro che più centro non si può, nella luce del mattino. Ahmed, così a occhio, non mi sembra fosse una sciura radical chic del centro, dalla bici direi che non era nemmeno un fighetto hipster.
Insomma, mi piacerebbe voltare pagina, ma non credo lo potrò fare oggi. Oggi penso che dovreste vergognarvi quando vi lamentate per una mamma in bici sul marciapiede. E che dovreste vergognarvi quando usate quelle scatole di latta senza rendervi conto di quanto possano essere pericolose. E che siete veramente stupidi quando fate paragoni impossibili tra i comportamenti scorretti dei ciclisti e quelli scorretti degli automobilisti: no, non è mai la stessa cosa.