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Tutta la verità sul sesso degli angeli

Arcigay si chiede dove siano gli olimpionici gay; se ne parla anche altrove in questi giorni. Io sono un po’ perplesso. Perché se è vero che la visibilità è il passo fondamentale verso la conquista dei diritti, è altrettanto vero che è un po’ troppo comodo aspettarsi che siano altri a fare i primi passi. Certo, personaggi pubblici e famosi aiutano sempre, ma questa caccia all’atleta gay mi sembra spinta più dalla ricerca di un pettegolezzo di basso profilo, piuttosto che dal desiderio di accendere un po’ di luce dove ancora regna l’ombra. E che nel mondo dello sport la lampadina proprio non sia ancora arrivata, è lampante. Tanto è vero che anche i pochi atleti gay dichiarati praticano quasi sempre sport individuali, non di squadra. Perché non è facile fare un comig out e poi presentarsi in palestra, nello spogliatoio, sotto la doccia con tutti gli altri tuoi compagni. Insomma, non voglio certo difendere chi porta avanti la filosofia militaresca del “non dire, non chiedere”, però forse pretendere di iniziare proprio dallo sport mi sembra difficile.
La ricerca dell’atleta gay è un gioco divertente da fare così per scherzo, ma la più grande associazione gay italiana dovrebbe forse occuparsi di cose più importanti. E se proprio vuole seguire la strada delle domande senza risposta, perché non ha il coraggio di puntare un po’ più in alto? Intendo dire che le Olimpiadi sono generiche, nessuno poi potrà mai essere davvero titolato a rispondere; perché allora non porre la stessa domanda alle società del campionato di calcio di serie A in Italia? Perché non andare dai presidenti di Milan (oh!), Inter, Juventus, eccetera e chiedere lumi circa la presunta assenza di calciatori omosessuali. O chiedere se ci sono politiche, prassi, abitudini per favorire la libera espressione di tutti?

Perché il punto non è sapere chi è gay e chi no, il punto è avere la certezza che ci siano condizioni umane e sociali tali da favorire la libera espressione di tutte le individualità. A questo servono le norme antidiscriminatorie, almeno come primo mattone.

Quanto al gioco di cui sopra, Village mi ha messo una pulce nell’orecchio…