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Marmaz vs. ufficio igiene, parte III

Le puntate precedenti: Marmaz vs. ufficio igiene, parte I, parte II

E dunque: perse due mezze mattine, fatte alcune ore di coda, presi numeri, lettere e simboli, visto il medico: siamo vaccinabili? Non ancora. C’è il tema del pagamento.
Oggi la macchina automatica per pagare il ticket, una sorta di bancomat, non funziona. Senza nemmeno più la forza di indignarci, ascoltiamo le due opzioni, che passano entrambe per un versamento su un conto corrente postale. Oh no, la posta no, vi prego. Non so se ce la posso fare.
Due opzioni perché possiamo andare a pagare subito e mostrare la ricevuta prima di fare il vaccino oppure fare il vaccino, pagare nel giro di un paio di giorni e poi mandare la ricevuta via fax. Davanti all’idea di dover fare anche un fax ci arrendiamo e partiamo subito alla volta dell’ufficio postale.

Una posta del centro, pulita, ordinata ed elegante, con tutti i moduli da compilare al loro posto, libri e altri oggetti in vendita, solo due persone in coda: un paradiso. Essendo però le nostre giornate speciali, accade quasi subito qualcosa: due impiegate si alzano e si allontanano (direzione bar), resta un solo addetto e un uomo in coda. Ma quell’uomo è precisamente l’uomo con 150 bollettini di conto corrente da pagare. Un quarto d’ora dopo l’ufficio è strapieno di gente (quasi tutti provenienti dall’ufficio d’igiene): quando le due tornano io penso a Brunetta e mi dispiace non averlo votato.

Ce la caviamo in 15/20 minuti. Torniamo in via Statuto.

Proprio mentre entriamo nel salone, l’altoparlante (ah già perché da un certo punto in poi non ci sono più i numeri, ma la chiamata nominale) chiama il nome di s. Ci guardiamo allibiti: che cosa ci sarà sotto una tale combinazione fortunata? Lo scopriremo entro breve.

Entriamo: ci sono il vero medico dell’ufficio d’igiene al computer e un’infermiera. Non ricordo più come, si inizia a parlare di code e di tempi di attesa e incredibilmente la ragazza parte con un peana su quanto lavorano loro e quanto gli utenti siano ingrati e non considerino chi c’è dall’altra parte, eccetera. Nella vetrinetta vedo attrezzi chirurgici e per un attimo penso di usare un bisturi. Poi penso che siamo vicini al traguardo e le sorrido comprensivo.

Faccio fare a s. che scalpita: un braccio per l’Epatite A, l’altro per il tetano. E’ fatta: stampa del certificato e… E appena finisce di stampare il certificato di s. il computer si pianta: il video si riempie di errori di Windows.

Niente. Il medico prova (non sto a dirvi con quale agilità sulla tastiera) a rientrare nel programma, ma niente da fare. Si consulta con la dottoressa dell’ufficio vicino, dove tutto funziona, e dopo il consulto decide di telefonare all’assistenza. Mentre cerca il numero arrivano dagli altri uffici tutti i dottori: adesso non funziona più nulla.
L’assistenza conferma: è un problema del sistema centrale della Asl, sono tutti fuori rete.

Vengo vaccinato sulla fiducia e subito inizio a sentire tutti i sintomi che mi hanno vagamente descritto come blandi: dolore locale, brividi, emicrania, vertigini, nausea, disturbi intestinali, allucinazioni.

L’infermiera libera s. che può andare in ufficio e sembra rinascere, io mi accomodo nel salone dove nel frattempo inizia a spargersi la voce del piccolo contrattempo informatico. Le reazioni sono di sconforto e abbandono e rassegnazione. Una ragazza che deve andare in Ruanda a questo punto non vede l’ora di partire verso un Paese civile e organizzato.

Io sto bene, le allucinazioni mi portano in un mondo bellissimo, non voglio più andare via da questo salone. Purtroppo sul più bello arriva l’infermiera bionda che sorridendomi mi consegna un orrendo foglio di carta riciclata dove una serie di scarabocchi a mano e un timbro dovrebbero essere il mio certificato: “visto che le cose vanno per le lunghe, il dottore le ha preparato una certficazione provvisoria”. Ah grazie: “poi verrà a ritirare quella definitiva”.

Ci conti.