La BIT – Borsa internazionale del turismo, se dovessi raccontarla in numeri:
- 1.000: il numero di ragazze mediamente carine attorno ai venti (anni) completamente lobotomizzate che sono state messe agli stand per accogliere operatori (e giornalisti);
- 1.000: il numero di vecchi giornalisti del settore completamente incartapecoriti che si sono recati alla BIT – cioè al bar della sala stampa della BIT – nei giorni di giovedì e venerdì;
- 10.000: il numero complessivo di persone che si è preso una polmonite passando da un padiglione all’altro, in una fiera concepita con grandi spazi all’aperto, quindi al freddo polare;
- 0: il numero di cose interessanti che valgono il viaggio fino a Rho;
- 10: metri quadri occupati dagli stand di alcuni stati degli Stati Uniti;
- 1.000: metri quadri occupati dallo stand della Regione Calabria;
- 3: i tentativi consecutivi di distribuzione dello stesso dépliant di Praga da parte dello stesso ragazzo alle stesse persone nel giro di un minuto di orologio;
- 1.000^3: il magone che ti prende passeggiando per le strutture di una fiera appena costruita e già vecchia, come concezione, cartellonistica, segnaletica, praticità; se costruisci una struttura con molte pareti di vetro, poi le devi pulire e lucidare, altrimenti l’effetto è quello di un posto in progressivo abbandono, trascurato, vecchio.
Era qualche anno che non andavo alla BIT: me la ricordavo come una fiera intelligente, con un format innovativo e molte cose da dire. Me la ricordavo con una forte valenza tecnologica. Ecco: quella cosa ha evidentemente esaurito la propria linfa, credo sia il caso di pensare a qualcosa di diverso.
PS: dove ho mangiato io? Ovviamente al bar dell’ufficio stampa
PS/2: passando con Blimunda dal’Australia a Petra, dalle terme slovene ai vini argentini, pensavamo che una vita non basterà mai per vedere tutti i posti dove sarebbe bello andare; quindi vogliamo vivere almeno due volte