Io sono un po’ cresciuto anche in macchina, nel senso: molti dei ricordi che ho di quando ero piccolo o molto piccolo sono legati a viaggi fatti in macchina con papà, che era appunto sempre in giro per l’Italia. Anche se non sono cresciuto poi con una passione per il mezzo, mi sono rimaste impresse tante cose legate al viaggiare.
Mi ricordo distintamente di quando papà sulle strade statali di montagna suonava il clacson al camion che ci stava davanti e in base alla risposta di quest’ultimo (un colpo, due colpi di clacson) decideva se lo poteva sorpassare: il camionista vedeva tutta la strada davanti a sé e poteva dire se stava arrivando qualcuno. Un comportamento stradale che impari, appunto, solo sulle strade: io non ricordo più i codici e dubito che i camionisti oggi interpretino nello stesso modo un eventuale colpo di clacson esplorativo, per cui: evito. Però da quella cosa lontanissima nel tempo mi è rimasto un grande rispetto per i camionisti, che continuo a vedere come quelli che ti indicano la strada più che come quelli che te la tagliano.
Ieri, in macchina, è tornata fuori un’altra di queste cose dell’altro mondo: ho frenato un po’ bruscamente e mentre lo facevo mi è venuto istintivo allungare il braccio destro e portarlo al petto di s. che era seduto accanto a me, come a proteggerlo nel caso la frenata lo avesse spinto in avanti. Quello che fanno le cinture di sicurezza, insomma. Anche quel gesto salta fuori da quei viaggi con papà e dalla sua abitudine di fare sempre quel movimento ogni volta che frenava improvvisamente. Quando non esistevano le cinture di sicurezza quel braccio non ti salvava forse non la vita, ma i denti e il naso sì.
Mi sono molto impressionato per quel movimento e per come mi è sembrato il gesto più naturale del mondo, come se lo facessi tutti i giorni da sempre. E invece era una cosa che ho imparato, e che non ho quasi mai avuto modo di usare negli ultimi 30, 40 anni.