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Il sorriso è un passaporto

Vivo qui da un po’ ormai. È la zona dove volevo stare, è il mondo che mi aspettavo di trovare. Nel mio palazzo sono praticamente l’unico italiano, è un contesto multietnico e senza etnie dominanti: cinesi, indiani, turchi, sudamericani, nordafricani. La custode, Estella, è dolce e materna con me. Mi ha invitato a cena da lei consigliandomi di non mangiare nulla a pranzo. In cortile, quando non fa freddo, ci sono un sacco di ragazzini che giocano. E ci sono i panni stesi e biciclette e anche macchine. Sono voluto venire qui anche per questa ragione: stare in mezzo ad altra gente. Viverla davvero la città come mi piacerebbe fosse in tutte le zone.
Loro, gli stranieri, in generale stanno sulla difensiva. Mi guardano, penseranno come mai uno della mia età sia venuto a stare qui (di italiani giovani in zona ce ne sono tanti), non dicono quasi mai nulla. Però un sorriso, ecco quello cambia tutto. Mi sto abituando a sorridere molto, è un passaporto che funziona sempre. E mi sembra un gesto che porta con sé affetto e rispetto, soprattutto. Magari qui, con loro, imparerò anche ad essere un po’ meno orso, chissà.