Roy’s: un’icona della Route 66 e il pezzo di strada più bello
Dopo la full immersion di persone a Las Vegas sto meglio. La giornata inizia con un’esperienza a metà tra l’esaltazione e la depressione. Decido per una colazione a buffet all-you-can-eat (tanto tra due giorni avrò una casa e potrò tornare a un’alimentazione se non equilibrata almeno sostenibile), tiro fuori i miei 18 dollari e mi butto. Faccio la solita coda americana, nel senso che mi fanno aspettare 5 minuti prima di farmi entrare e poi dentro è vuoto. E qui c’è la parte deprimente: un posto così semivuoto alle 8 del mattino ha dell’incredibile e forse è più di ogni altra cosa che ho visto il segno tangibilissimo di come Las Vegas stia affrontando una fase complicata. Aggravante: dei pochi presenti, moltissimi sono italiani.
Il lato esaltante è invece la quantità e varietà e qualità di cibo da colazione presente. Per me, che alla mattina mangerei un bue intero, è un sogno: l’area french toast / pancake & Co. più l’area uova / bacon & Co. più l’area muffin / scone & Co. Mangerei per 12, e infatti. Colpo di grazia con un bread-pudding-qualcosa.
Insomma, dai, la tristezza di ieri è alle spalle. E in più oggi ho rivisto il Colorado, il mio fiume preferito, l’autore del Grand Canyon.
Da Las Vegas (Nevada) a Barstow (California) – 8 agosto, 368 miglia (2.545 totali)
- a Las Vegas gli aerei ti atterrano al fianco
- un giorno devo tornare qui e fare una serie di foto solo al retro dei casinò, dove c’è il cuore di questi giganti: tu dentro pensi di essere a Venezia o in una foresta tropicale o chissà dove, e da fuori invece è come se tu fossi in un container
- lo stesso giorno devo fare anche delle foto alle centrali elettriche che si vedono in città, grandi come interi isolati e non è difficile capire come mai
- il Cosmopolitan è finito; nel senso il casinò Cosmopolitan è stato ultimato ed è aperto da qualche mese: bello ma non esaltante
- rifaccio la strada noiosa, amen
- note americane: qualsiasi cosa è stata votata best-something da qualche improbabile ente certificatore (rivista locale, associazione, gruppo di amici, eccetera)
- il deserto, il Mojave, ci sono dentro da più di un giorno, ma adesso inizia quello vero: non è un deserto di sabbia (almeno, non per la parte dove sono passato io), ma è un deserto di cose perché non c’è nulla e di spazi perché ti sembra sempre di stare al centro della stessa pianura circondata da montagne molto basse: tu guidi e guidi e guidi e il panorama non cambia, come se in realtà non avanzassi di un miglio; un po’ di paura in qualche momento (e se si ferma la macchina, se mi rapinano eccetera) non del tutto giustificata, molta pace per la maggior parte del tempo
- l’angoscia che dà una pianura infinita
- i cactus qui sono piccoli e neri (poi diventeranno Joshua Tree e poi palme: questa è la storia della vegetazione in quest’ultima parte del viaggio)
- note americane: prolly = probably
- note americane: pop over = come over
- quello attorno ad Amboy è il tratto più bello della Route 66 fatto fino ad ora e il Roy’s il motel più affascinante
- incontro motociclisti veneti con i quali ci intendiamo alla grande: gli chiedo se vogliono una foto vicino alla scritta Route 66, loro se la fanno da soli senza nemmeno rivolgermi la parola; comunque preferisco questo atteggiamento rispetto al “ah sei italiano anche tu!” come se incontrarsi in un Paese che è a poche ore di volo, di migliaia di voli giornalieri, da Milano o Roma sia una cosa così eccezionale
- Barstow tra queste città nel nulla è una delle più grandi, c’è una base militare della marina che immagino generi un certo indotto
- ehi, sono in California! a dire la verità in questo primo tratto non è che uno pensi “valeva la pena fare questo lungo viaggio per arrivare fin qui”, ma sono fiducioso nel futuro
- il confine tra Arizona (o Nevada) e California è appunto segnato dal Colorado River
Social / 1: quel che non scrivo qui è probabilmente su Twitter
Social / 2: le foto del viaggio per ora le sto mettendo su Facebook, pubbliche, poi farò un album migliore