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Un altro viaggio americano: Toronto con personalità ma senza magia, e vince tanti premi

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Da Montreal a Toronto (e cascate del Niagara).

Lasciare Montreal non è facile: pensi a quanto ti è piaciuta, come sei stato bene, avresti potuto decidere di starci di più e chissà come sarà d’inverno e quando ci potrai tornare: davanti hai alcune ore di viaggio e Toronto che ti aspetta. Finisce questo equivoco di Canada francese e c’è una grande città internazionale là davanti.

Per strada ci sono le 1000 Islands, un arcipelago di alcune migliaia di isole e isolette adagiate sul lago Ontario. Sono sul confine tra Usa e Canada, come quasi tutto qui e in questo viaggio, dove peraltro il confine esiste sempre di meno: so per certo che poi non è così, ma da questa prospettiva – quella di un viaggiatore veloce – i due Paesi sono identici.

Comunque, le isolette sono il trionfo dell’America delle villette (ma forse che forse la famosa casetta piccolina in Canadà?). Avete presente le classiche case americane, quelle che si vedono in tutti i film, grandi o piccole che siano? Ecco: qui ci sono tutte, e di più. Più grandi, più pulite, più curate, più garage, più barbecue, di più. Alcune sono grandi come tutta l’isola sulla quale sono costruite e appena le ho viste mi sono rivisto in quella scena che già tante volte ho vissuto in questa parte del mondo: da vecchio, ma vecchio-vecchio, in quella cucina tutta vetri affacciata sul giardino, mentre sforno una apple pie e quell’altro è là che dorme in veranda. Queste case mi danno lo stesso senso di serenità dei piccoli cimiteri americani, così semplici e leggeri, che ti fan quasi passare la voglia di pensare alla cremazione.

Allegria, sì – ma non sono triste. Semmai quei due vecchi lì mi fanno molta tenerezza. E la torta di mele mi piace un sacco.

Isole a parte il resto del viaggio è una vera noia, se non fosse per quel cielo alto del Canada che ci accompagna sempre in queste giornate: ovvio che si tratta di un fenomeno banale, cioè appunto di quando ci sono poche nuvole bianche molto alte, però l’effetto che fanno è speciale, come se l’orizzonte fosse non solo largo e largo di boschi e prati e laghi ma anche alto, di quelli che ti fanno venire voglia di un respiro a pieni polmoni.

Isolette, cielo alto, ecco poi fine della poesia: si arriva a Toronto. Quaranta minuti in coda sulla tangenziale: è questo il saluto della città, che ovviamente non mi prende bene come Montreal. Appena riusciamo a scendere dall’automobile ci troviamo davanti a una sorta di midtown newyorkese (grattacielini e palazzi molti alti, tutti piuttosto anonimi) aggravata (perché midtwon è la parte più brutta di New York) da una densità a macchie di leopardo, che lascia quindi spazio a decine di parcheggi a cielo aperto. Le auto, il traffico, i parcheggi: anche qui ci sono tante bici, anche qui tutte bici da corsa, ma il traffico sembra un tema della città.

Toronto non è bella ma non posso dire onestamente che sia un brutto posto: la città ha personalità, i suoi abitanti sono giovani e allegri, si vedono facce di tutti i colori come da nessun’altra parte prima qui in Canada. Però, ecco, non c’è la magia.

Ci sono altre cose:

  • il più palloso museo del mondo, con uno strepitoso nuovo ingresso inventato da Libeskind;
  • un altro museo molto interessante, tutto ripensato da Gehry;
  • e parlando di design a pochi passi c’è la Ocad University, che prima si chiamava Ontario College of Art and Design: dare un’occhiata all’edificio per capire tutto;
  • insomma, allora non è poi così vero che gli edifici della città siano anonimi, non tutti almeno;
  • resta comunque il fatto che a Toronto non ci sono le poutine e già solo questo potrebbe bastare a renderla piuttosto inutile;
  • ah certo, c’è un lago, bello grande, l’Ontario: è diviso dalla città da una serie di tangenziali, e questo basta a renderlo lontano, godibile solo da alcuni approcci, e quindi quasi decorativo.

Ma soprattutto a Toronto ci sono la Cn Tower e The Path: dal cielo al sottosuolo, senza passare dal via. Allora, la torre non è bella. Un blocco di cemento che pensi boh. Però è davvero l’icona della città e però è davvero uno strumento straordinario per orientarti e però di sera è tutta colorata e però ti permette di vedere la città dall’alto e allora diventa interessante e utile. Mi piacerebbe fare un veloce giro del mondo andando in tutte quelle città (non le conto) che si lasciano guardare dall’alto: atterri, prendi un mezzo che ti porta dall’aeroporto in centro (e già hai capito molto del posto dove sei e di come funziona), sali, guardi, ridi di quelli che fanno le smorfie nei selfie, ceni in una tavola calda, torni in aeroporto e via verso un altro posto. Un paio di settimane così e ti porti tutto il mondo negli occhi.
Comunque, la torre la promuovo. Poi scendo nel Path: posso aggiungere altro a questa descrizione perfetta?

Toronto’s underground walkway linking 30 kilometres of shopping, services and entertainment.

Non posso. Il Path è una città sotto la città, usata per attraversarla – la città – quando fuori fa freddo. E qui fa parecchio freddo d’inverno. Quello che colpisce è l’estensione, 30 km di percorsi, e quello che diverte è l’accesso: a volte entri dalla metropolitana e poi esci in un grattacielo del centro, altre volte entri in un albergo e sbuchi dentro un museo, altre volte ancora entri ed esci da un condominio. Gli accessi al Path sono ovunque e ti viene la voglia di vivere qui abbastanza tempo per imparare la mappa e giocare a nascondino. L’aspetto dei tunnel cambia a seconda delle zone: da vuoti corridoi a eleganti percorsi pieni di negozi, da ristoranti e fast food a palestre e servizi di ogni genere (tintoria, fotocopie, duplicazione chiavi). Insomma: puoi fare tutto indossando una felpa anche se fuori ci sono 30 gradi sotto zero. Certo: il sole è un’altra storia.

E le bici? Stesso identico film di Montreal, molto bene.

Toronto, infine, vince cinque premi:

  • il mio nuovo negozio di biciclette preferito: Bikes on wheels;
  • il supermercato più bello, più grande, più cool e più whatever che abbia mai visto (Whole Foods, dei dilettanti al confronto – e ho detto tutto): Loblaws at maple leaf gardens;
  • l’outlet alimentare più incredibile e assurdo, con i salatini e il cioccolato e spezie di ogni genere venduti al chilo: Bulk Barn;
  • il diner più diner che ci sia: Fran’s Restaurant;
  • la porta d’accesso a una delle grandi icone del mondo, le cascate del Niagara, con questa cosa divertente che le cascate sono negli Stati Uniti ma il posto dal quale si vedono è in Canada: non veniteci apposta, perché onestamente non valgono il viaggio da sole, ma se siete in zona allora sì.

Il racconto di questo viaggio: un altro viaggio americano / #uava