Quando stai per farti un’iniezione e ti tornano in mente tuo papà e il tuo cane
L’altra sera mentre preparavo tutto per farmi un’iniezione mi sono ritrovato improvvisamente alla fine degli anni Ottanta. Papà stava male, per molto tempo non avevo saputo che cosa avesse, poi frugando tra carte e biglietti scoprii che aveva qualcosa alla prostata, che orgoglioso com’era – e senza i tanti anni di cultura medica che abbiamo vissuto da allora – teneva nascosto.
Probabilmente l’ha tenuta nascosta per chissà quanto tempo, fatto sta che mi chiamava spesso per fargli un’iniezione; la prima volta: «Papà, ma io non sono capace, non puoi chiamare un’infermiera?». A volte si faceva aiutare dalla portinaia (come si usava), ma quando non c’era toccava a me. Non ero capace, ma ho imparato.
Pochi giorni dopo quelle prima volte papà è morto, tra l’altro nel modo abbastanza spettacolare con il quale aveva vissuto: io che citofono, lui che non risponde, si sente il cane che abbaia e ulula dal 7° piano, nessuno per strada, nessuno che risponde nemmeno ad altri citofoni (Milano faceva schifo, altro che oggi), la corsa a cercare una cabina del telefono, la fortuna di trovarne una funzionante, poi le ambulanze e poi i pompieri, la piccola via era azzurra quella notte.
Qualche ora dopo mi ritrovai per strada con Bruno, che nel frattempo mi aveva raggiunto, lo choc di quei momenti e un cane, il cane di papà: un cucciolo di pastore tedesco che avrebbe poi vissuto con me per i 13 anni successivi. Anzi, più che con me, con noi – e mia mamma fu molto felice della novità, lei che girava per casa sempre con uno straccio della polvere per togliere quel piccolo alone da qualsiasi cosa. In realtà poi anche lei si innamorò di Kojak e vivemmo felici e contenti in nuvole di peli e allergie – ah già perché io ovviamente ero allergico al pelo di cane.
Rompo la prima fiala, aspiro il liquido, poi rompo la seconda, aspiro il liquido anche da quella (sì, doppia dose, la mia cervicale fa i capricci e quindi siamo passati all’attacco), metto il cappuccio alla siringa, cambio l’ago, appoggio tutto sulla mensola. Non sono finiti i ricordi.
Kojak a un certo punto della sua vita ha preso una malattia ed è diventato cieco. Mentre cercavamo di capire che cosa avesse il veterinario scelse medicine iniettabili: «Sa fare un’iniezione al cane, vero?».
Oh, ma evidentemente ho proprio la faccia di uno che sa fare le iniezioni!
«No, no dottore, non possiamo usare il solito metodo della pastiglia?». Fu irremovibile, mi fece vedere tutto: «è facilissimo».
Il giorno dopo quindi toccò a me, e la prima cosa complicata fu trovare il cane che nel frattempo aveva già capito. Poco male prima preparo tutto, poi cerco il cane; lo trovo, lo metto disteso: osso, palline, peluche, mele, carote (tutte le sue cose preferite), un litro di disinfettante, il cane scappa, ricominciamo tutto daccapo, tranne che per mele e carote che nel frattempo, nonostante la paura, si era mangiato.
Tutto pronto: sollevo un bel lembo di pelle da un fianco tenendolo con pollice e indice, come da istruzioni, con l’altra mano mi preparo con la siringa, e zac! L’ago passa da un lato all’altro e termina nel mio dito indice. Mezza dose di cortisone per me, un dolore lancinante, il cane prima come se nulla fosse, poi forse anche lui annichilito dalla scena, sangue (il mio). Negli anni ho dovuto fargli tante iniezioni: ho imparato.
«Ha qualcuno che le faccia qualche iniezione?» Stavolta sono io che rispondo orgoglioso: «faccio da solo, dottore».