La mia prima partita allo stadio: settembre 1989, Malmoe – Inter 1-1, subito a casa nei sedicesimi della Coppa dei Campioni. La mia ultima partita: maggio 2010, Bayern Monaco – Inter 0-2, campioni d’Europa. Da quel settembre 1989 sono andato allo stadio sempre, a tutte le partite giocate a Milano, campionato, coppe, perfino Coppa Italia. Mi sono anche preso una mezza giornata di ferie per andare a vedere un Inter – Torino di Coppa Italia appunto, in un gelido pomeriggio di gennaio. Tutte le partite allo stadio, con amici, da solo, in mezzo a torpedoni di leghisti, tra gente che urlava “frocio di merda”, “terrone”, eccetera (non a me, a quelli in campo).
Oh, è stato un grande amore. Sbocciato in tarda età: ho iniziato a fare il tifo e andare allo stadio quando di solito la gente smette, ma tant’è. È stato un grande amore e, certo, ha riempito anni della mia vita che altrimenti sarebbero stati più vuoti. Un po’ mi vergogno a dirlo, ma tanti pomeriggi della domenica o sere d’inverno avevano un senso se c’era l’Inter.
Poi dopo, col tempo, la situazione è cambiata. Per fortuna altre cose sono arrivate a prendere il posto dei ragazzi, di quei ragazzi almeno. Ho smesso di andare allo stadio nel 2003, più o meno, l’Inter non era già più da tempo il centro della mia vita, ma nonostante tutto facevo fatica a non attaccarmi a qualche televisore, a qualche radio, a fare continuamente reload sulle pagine di gazzetta.it. Ho smesso di andare allo stadio, ma credo di aver visto comunque quasi tutte le partite anche degli ultimi 10 anni. Forse non la Coppa Italia, comunque non i sedicesimi di finale, davvero.
Alla fine, girachetirigira, le partite dei ragazzi me le segnavo in agenda e se si trattava di decidere di fare qualcosa un’occhiata distratta al quadernetto la buttavo sempre. Sono poi stato giustamente punito quando, nel 2007, mi sono ritrovato a Barcellona proprio nel giorno in cui vincevamo il nostro primo scudetto dopo anni di digiuno: era anche il mio primo scudetto da tifoso e quel pomeriggio al Montjuic me lo ricorderò per un po’, mi dicono che la mia faccia fosse quella delle giornate migliori, nerissima.
Il mio addio ai ragazzi è stato lo scorso maggio, quella sera della Champions in piazza del Duomo. Quella sera assurda, con la partita vista di riflesso sulle vetrine dell’Autogrill tra le gambe di quelli appesi alle colonne della Galleria. Quella notte, quella vittoria, quel mese nel quale abbiamo vinto tutto: ogni cosa è cambiata. L’avevo capito subito, ma quasi mi sembrava impossibile e incredibile. Adesso devo anche dirmelo: quella sera l’Inter e io ci siamo lasciati. Non ho più visto una partita, mi interessa poco di quello che succede, quasi non so i risultati. La penso sempre con simpatia, ovvio. Guardo a gente come Zanetti e Cambiasso e mi dico che è stato un onore fare il tipo per loro. Penso ai giocatori che ho amato di più: Alessandro Bianchi, Lothar Matthäus, Ruben Sosa, Simeone, Cambiasso. E Zanetti, appunto.
Non so, mi sento come quando ci si accorge di essere diventati grandi (alla buon’ora) e si guarda alle cose della propria giovinezza con un misto di affetto e distacco.
E adesso extreme ironing sia!