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Riconoscersi in una foto: sono io e sono quel momento

Pubblico poche foto mie, dove ci sono io, qui nel blog. Ce ne sono tante in giro per la Rete e su Facebook e su Flickr e su Picasa eccetera, ma qui poche. Combinazione negli ultimi post di questo periodo, invece, ho messo due immagini: il maggio di Milano e l’Europride a Roma. Le ho messe perché mi capita raramente di riconoscermi in una fotografia e invece in quelle due mi vedo proprio, sono io, sono io com’ero in quel momento. Non si tratta di venire bene o venire male. Dell’espressione, dei gesti, di altri elementi estetici: si tratta di fotografare un momento. Ecco, io guardo quelle due foto e vedo i momenti nei quali sono state scattate e mi ricordo di come mi sentivo e di che cosa pensavo. E vedo che cosa comunicano di me, anche se poi magari solo in pochi – o solo io – sono in grado di vederlo.

La foto di Roma non ha bisogno di didascalie: sono proprio io nel bel mezzo del mio viaggio (come generosamente la mia amica Susan ha chiamato questi mesi, che altri invece definiscono di follia). Il colore della pelle, la faccia dipinta, la forma delle mani e quel modo – non professionale, ma appassionato – di tenere la macchina fotografica, il coriandolo, quei pezzi di stoffa al polso, gli anelli: mille parole e ore di racconto non potrebbero dire meglio come ero quel giorno e in quei giorni. E come mi sentivo, anche. Se qualcuno oggi mi chiedesse “come stai”, io gli risponderei con quella fotografia.

La foto di Milano è più facile, ma oltre a quel che possono vedere tutti c’è quel che posso vedere io: il tentativo di scrivere qualcosa di quel momento – sull’iPhone di corsa, prima che scappasse – la grande gioia, mai provata così e in un contesto così collettivo, un po’ di stanchezza. E, stranamente, la serenità di sapere che stava finendo, ma era giusto così. Quella foto sarà per sempre il maggio di Milano e sarà per sempre il simbolo di un momento, di giorni e settimane, che non voglio che ritornino. Mentre lo scrivo mi accorgo che è strano, io e moltissimi di noi avremmo voluto che quel maggio non finisse mai più, tanto ero tutto così speciale. Invece no, in quella fotografia c’è un momento per farsi coccolare dal calore del sole di maggio e poi il tempo per guardare avanti. Forse è così che si cresce (lo so che fa ridere parlare di crescere a cinquantanni, ma vedi le voci viaggio e follia qualche riga più sopra), quando prendiamo una cosa bella, importante, emozionante e ce la lasciamo alle spalle, senza rimpianti. Quando non cerchiamo di riprodurla. È diventata nostra, non abbiamo bisogno di farla diventare un momento artificiale. Ecco, per dire, io vedo tutte queste cose in quella fotografia e per questo mi ci riconosco.