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Milano2016

Tutto sulla campagna elettorale del 2016, quando mi sono candidato per il Consiglio comunale della mia città.

Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi

Marco, ti candidi?

Ma tu ti candidi? È stata una domanda ricorrente in questi mesi ogni volta che si parlava anche lontanamente di politica. Una domanda che non capivo mai se posta con entusiasmo o preoccupazione. Chissà.

Mi candido? Davvero non lo so. Però la domanda mi ha fatto riflettere sulle prossime elezioni e su quelle passate, ho provato a mettere in fila una serie di cose che sono successe e a mettere a fuoco temi che ai tempi mi erano sfuggiti.

Non voglio ripercorrere i giorni e le ragioni della mia candidatura del 2016, Alessio ha già raccontato tutto benissimo in un post (Dalla promessa al prototipo. La campagna Marco Mazzei X Milano. 1000 voti x la felicità urbana) e quindi se a qualcuno dovesse interessare sapere che cos’è successo e perché trova tutto lì, ma voglio al contrario raccontare perché per me è stato un momento straordinario e di conseguenza perché credo sia difficile si possa ripetere.

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La campagna elettorale, un viaggio e il grande niente

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Dopo tanti giorni pieni di parole, le pedalate a 2000 metri piene di silenzi.

Sono settimane che cerco di scrivere qualcosa di decente sulla campagna elettorale, su come l’ho alla fine vissuta, sulle mie impressioni e su come sono stato dopo e su come sto ora e sul “e adesso?”. Sono settimane che inizio un post e poi lo lascio lì, che appeno lo rileggo mi chiedo non mi capacito di quanto sia brutto.

Sono settimane e le settimane passano e forse ha sempre meno senso raccontare che cosa ho pensato, però quel “quindi adesso?” invece merita ancora una risposta. E chissà che questa sia la volta buona, il post buono. Se non proprio bello, almeno buono.

La campagna per filo e per segno è già stata raccontata e riassunta perfettamente da Alessio, non aggiungo altro:

DALLA PROMESSA AL PROTOTIPO. LA CAMPAGNA MARCO MAZZEI X MILANO. 1000 VOTI X LA FELICITÀ URBANA.

Dunque, come sto? Io sto bene. Quei due mesi (la decisione, pronti via, le elezioni) sono stati così pieni che mi ci è voluto poi un sacco di tempo per diluire i pensieri e le sensazioni e ripensare a tante cose che sono successe e cercare di capirle meglio. Io sto bene e sono molto contento di aver deciso di candidarmi, sono molto contento di aver fatto quella campagna elettorale, sono strafelice e molto grato per le persone che sono state con me e forse anche di più, sono orgoglio di aver accettato una sfida e di averla vinta – perché quando ci metti la faccia in quel modo, senza rete e senza protezioni, puoi rischiare una gran brutta figura.

Sono contento anche perché ho capito che la politica è ancora molto migliore dell’antipolitica: la politica è quella cosa che consente a un cittadino qualsiasi di scrivere un progetto per la comunità dove vive, di raccontarlo, di raccogliere consenso e sostegno. La politica è quella cosa che può portare quel cittadino lì a fare il consigliere comunale o l’assessore: senza amicizie – ma con tanti amici veri, senza appoggi, senza protezioni, senza sponsor. L’antipolitica invece è quella cosa che per dimostrare che i politici sono tutti uguali continua a far eleggere sempre gli stessi, almeno poi può dire che fanno schifo. Una delle ragioni per le quali io oggi non sono assessore o consigliere – oltre naturalmente a quella principale: non sono stato così bravo da raccogliere abbastanza voti – è che molti di quelli che avrebbero potuto votarmi alla fine hanno preferito l’antipolitica alla politica. E con quell’antipolitica lì succede, per esempio, che oggi nessuno si interessi davvero di bici nei Palazzi del potere milanese. Quindi insomma: viva la politica, speriamo ci siano sempre più spesso persone qualsiasi con un bel progetto che decidono di provarci; io ho imparato la lezione e le sosterrò con entusiasmo.

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Di quando hai imparato che dire grazie non è poi così male

Grazie

Grazie

Per me è sempre molto difficile chiedere aiuto a qualcuno o, per usare un’espressione meno drammatica, chiedere una mano a qualcuno. Di conseguenza è sempre molto difficile anche dire grazie.

Credo non sia per caso. Se tendo a voler fare tutto da solo è perché sono sempre stato abituato così. Se la solitudine non mi spaventa, anzi spesso la cerco, è perché è sempre stata una buona compagna di viaggio. Che poi, lo so, detta così sembra una cosa triste, ma per me non lo è.

Sono abituato così perché sono cresciuto così. Mia mamma lavorava sempre tanto e fino a tardi, mio papà era sempre in viaggio: da quando me ne ricordo io tornavo a casa da scuola, mi preparavo da mangiare, facevo i compiti, uscivo a giocare sempre più o meno da solo. A casa non c’era nessuno che mi aspettava, meno che meno qualcuno che mi accompagnava poi da qualche parte. Tipo che a 10 anni ero già un grande esperto di uova al tegamino.

Durante l’adolescenza, figuriamoci, questa modalità è diventata una forma perfetta di ribellione sociale: parlavo pochissimo e grugnivo moltissimo.

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La bicicletta è politica? Sì, lo è. Andiamo a votare

Andiamo a votare, pedaleremo insieme

La bicicletta è politica? Sì, lo è. Aveva ragione Paolo quando lo sosteneva nel 2012 e ha ragione quando ce lo ricorda ancora oggi. È politica perché è il mezzo migliore per cambiare le città, per restituire le strade alle persone, per uscire definitivamente dal secolo dell’occupazione degli spazi urbani da parte dell’automobile, per vivere meglio.

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